andremo in bici attraverso i parchi di Cernusco. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri – Sezione Ambiente e si svolge sotto l’egida del WWF, che ogni anno dedica una giornata al verde nelle città (Urban Nature).
La biciclettata, dedicata soprattutto ai bambini, partirà alle ore 15:30 davanti alla stazione Metro M2 di Cernusco sul Naviglio e seguirà un percorso attraverso i parchi cittadini, fino al Parco Azzurro dei Germani (in circa un paio di ore).
Racconteremo storie di alberi e non solo, osserveremo come la natura urbana può aiutarci a custodire un po’ di biodiversità, rifletteremo su come ci può difendere dagli eccessi meteorologici, ormai sempre più frequenti.
Portate con voi una piccola merenda, per recuperare le energie!
E’ gradita l’iscrizione a questo link: https://shorturl.at/OX5NO oppure inquadrate il QR nella locandina qui sotto
Il 6 febbraio 2024 si è costituito l’Osservatorio per la tutela del suolo e del paesaggio del Nord Est Milanese.
L’osservatorio nasce per tutelare il suolo, un bene comune, risorsa fragile consumata dall’occupazione delle superfici verdi libere prodotta dalla speculazione edilizia e dalla proliferazione delle infrastrutture e per offrire una risposta concreta alle emergenze climatiche che mettono in pericolo la nostra esistenza sul Pianeta Terra.
L’Osservatorio è costituito da cittadini, rappresentanti di associazioni ambientaliste, culturali e naturalistiche della Zona omogenea Adda Martesana della Città Metropolitana di Milano che, consapevoli delle conseguenze sempre più pesanti del riscaldamento globale e del consumo di suolo, hanno deciso di unirsi e collaborare per costituire una rete coordinata per monitorare e valutare le attività di pianificazione e gestione del territorio delle nostre amministrazioni, analizzare gli effetti derivanti da strumenti di pianificazione inefficaci a tutelare il suolo e ad arrestarne il consumo.
L’Osservatorio è aperto a tutti coloro che riconoscono come fine da perseguire la conservazione delle aree verdi libere, degli ecosistemi e degli ambiti naturali, a cui si affiancano la salvaguardia delle aree agricole e dei boschi, la difesa della biodiversità, la tutela del paesaggio e la conservazione del patrimonio culturale, ambientale ed architettonico. Strumento essenziale è il monitoraggio del consumo di suolo del nostro territorio collegato alla mobilitazione contro le decisioni che mettono in pericolo questa risorsa essenziale.
Sono soci fondatori dell’Osservatorio:Bene Comune Cernusco, Cernusco in Comune, Custodi del Paesaggio Cassina de’ Pecchi, Salviamo il Lago Gabbana Vimodrone, Fulvio Carcano, Walter Piloni.
C’è una nuova allerta meteo: nella notte arriveranno precipitazioni temporalesche che in alcuni settori lombardi potranno essere molto intense ed abbondanti.
Il 5 dicembre, giornata dedicata al suolo su iniziativa delle le Nazioni Unite e la FAO per far crescere la consapevolezza sulla sua importanza per la vita umana, è stato praticamente ignorato, sebbene l’erosione di suolo libero costituisca ormai un’emergenza: l’Italia perde 2 metri quadri di suolo al secondo e la progressiva impermeabilizzazione del territorio, collegata all’intensificazione dei fenomeni meteo estremi, determina conseguenze devastanti sulle aree più fragili.
Anche a Cernusco la giornata del suolo è passata sotto silenzio, un silenzio assordante dopo l’approvazione estiva della variante del Piano di Governo del Territorio con cui verranno costruiti sui prati di via Cevedale più di 10.000 mq di palazzi e un nuovo campo da baseball prenderà il posto del secolare campo del Gaggiolo.
Il tutto però, ci raccontano, a consumo di suolo zero, perché i campi di via Cevedale erano già considerati edificabili dal vecchio piano regolatore e il PGT non ne ha modificato la destinazione e dunque, dal punto di vista teorico, non c’è consumo di suolo. Una narrazione mistificante: la realtà è che fra qualche mese al posto dei campi verdi vedremo palazzi e al posto del prato del Gaggiolo dove cacciano gli insetti le rondini che nidificano nella vicina cascina, un campo da baseball. E nessuna compensazione potrà restituirceli.
Dal 2011, anno di approvazione del PGT, sono cambiate molte cose, soprattutto è cresciuta la consapevolezza culturale delle conseguenze che la perdita di aree verdi determina per l’ambiente e le comunità. In dieci anni e, soprattutto, nei tre anni di discussione sulla variante si potevano mettere in atto misure volte a preservare le aree verdi di Cernusco per sottrarle alla speculazione immobiliare e per evitare consumo di suolo per realizzare strutture che avrebbero potuto essere costruite su aree di minor pregio ambientale.
Sarebbe stata una scelta onerosa per il contenzioso da sostenere con gli immobiliaristi sui mancati guadagni, ma sono ormai diverse le amministrazioni coraggiose che hanno visto riconosciuta dal punta di vista giuridico la volontà di preservare le aree verdi rimaste come di interesse preminente per la comunità rispetto agli interessi privati.
Ma in gioco non ci sono solo gli interessi privati: capita che vengano sacrificate aree ancora verdi anche per strutture pubbliche. È accaduto con il polo scolastico di via Goldoni realizzato sui prati della cascina Galanta, accadrà per il già citato campo da baseball sui prati del Gaggiolo ed è in programma per il giardino della scuola primaria del plesso di via Don Milani su cui verrà costruito un nuovo nido.
Che siano strutture di pubblica utilità non cambia la sostanza: è il verde che sarà cancellato per sempre e con il verde perderemo la biodiversità che porta con sé.
Consideriamo grave la mancata valutazione delle alternative: in tutti i casi citati non sono state prese in considerazione soluzioni che prevedessero il riuso di altre aree già compromesse, di minor pregio ambientale o funzionalità sociale.
Realizzare il nuovo nido a spese del giardino della scuola primaria è l’indicatore esplicito di come vengano considerate le aree verdi e la biodiversità: significa che sono una merce a disposizione, da poter utilizzare in funzione di esigenze private e pubbliche.
Ma i beni ambientali sono beni comuni, non sono a disposizione: devono essere tutelati e, soprattutto, devono essere valutate tutte le alternative praticabili per la loro conservazione.
Il giardino della scuola di via Don Milano ha avuto il merito di rompere il silenzio sul consumo di suolo, ha fatto capire cosa significhi perdere un prato, perdere gli alberi sotto cui si gioca, reso palesi le conseguenze della perdita della funzione sociale di un bene ambientale.
Bene Comune Cernusco condivide le perplessità dei genitori del consiglio d’Istituto e del Comitato dei Genitori dell’Istituto Rita Levi Montalcini che chiedono all’amministrazione un ripensamento ed una più attenta valutazione del progetto.
A colloquio con Pietro Maroè, giovane argonauta che con passione studia e cura gli alberi, con un grande sogno, salvare il modo.
Pietro Maroè ci racconta come ci sia bisogno di una nuova forma di società, che ci permetta di non estinguerci con le nostre stesse mani, dove gli alberi costituiscono un modello da seguire, un esempio di comunità organizzata dove le risorse vengono utilizzate in modo parsimonioso, senza che nulla vada buttato.
Dunque non sono affatto elementi dell’arredo urbano come spesso vengono considerati. Da qui la nostra provocazione del titolo.
Un’occasione da non perdere: giovedì 31 marzo – ore 21
di seguito le credenziali per la videoconferenza sulla piattaforma Zoom.
ID riunione: 884 4973 1608 Passcode: 738712 Un tocco su dispositivo mobile +390694806488,,88449731608#,,,,*738712# Italia +390200667245,,88449731608#,,,,*738712# Italia
Il rapporto fra gli alberi e la città è complicato: sono parte dell’identità stessa e della storia di molti quartieri, ma nello stesso tempo è proprio la loro manutenzione e conservazione che costituisce una sfida fra le esigenze delle piante e quelle dei cittadini che spesso dimenticano, fra foglie cadute e radici sporgenti, il ruolo essenziale degli alberi.
Ne parliamo giovedì 31 marzo alle 21,00 con Pietro Maroè, giovane arbonauta che ha deciso di studiare, misurare e soprattutto curare gli alberi.
A breve il link per il collegamento in video conferenza
Per gli alberi il tempo è un concetto relativo. Praticamente non muoiono se non per cause esterne e, anche in quel caso, sono talmente ben organizzati che non muoiono con facilità. Il tempo passa in secondo piano.
L’albero, semplicemente, aspetta.
Aspetta il momento giusto per germinare, per fare le foglie, per fiorire. Poi aspetta il momento giusto per fare i frutti e lasciarli cadere, così come per le foglie, come se anche quella che è la sua principale fonte di sostentamento fosse comunque qualcosa di effimero.
Forse anche noi dovremmo prendere esempio da questi custodi dell’azzurro del cielo.
anticipazione da “L’azzurro infinito degli alberi” di Pietro Maroè
“Gli alberi sono utili, ma sono anche un costo e nelle città creano molti problemi”. “Una bella potatura è quel che ci vuole: l’albero dà meno fastidio e si rinforza.” “Se un albero è malato va tagliato! Eventualmente si compensa piantandone un altro”.
Affermazioni come queste sono molto comuni e purtroppo sono alla base di molte delle scelte di gestione del verde delle nostre città. Il problema è che poggiano su presupposti non aggiornati, parziali, semplificati o – peggio – sbagliati.
Oggi, 21 novembre, è la Giornata Nazionale degli Alberi: il giorno ideale per fare qualche passo avanti nella conoscenza di questi esseri viventi che ogni giorno svolgono tantissime funzioni utili anche per noi, in rigoroso silenzio.
Un albero è un organismo perfetto.
Cresce costantemente e si modifica per adattarsi all’ambiente in cui vive, indirizzando tutta la sua attività verso il suo principale (se non unico) obiettivo: assicurarsi il giusto apporto di energie per vivere, minimizzando l’uso di risorse ed evitando ogni spreco.
Questo meraviglioso “pianificatore”, questo sopraffino “elaboratore vivente” calcola l’esatta superficie fogliare e l’esatta dimensione del proprio apparato radicale necessarie per supportare la propria sussistenza e la propria crescita.
Lasciato libero e nelle condizioni giuste, questo sistema “funziona” in modo impeccabile, facendo sviluppare all’albero una chioma dalle dimensioni e forma ideali, commisurate alla quantità di luce che può ricevere. Dimensiona inoltre il suo apparato radicale in modo che assicuri, da un lato, l’equilibrio strutturale della pianta, dall’altro l’approvvigionamento della giusta quantità di acqua e sostanze nutritive dal terreno, con le radici più superficiali e che si dedicano ai nutrienti e quelle più profonde e robuste all’equilibrio.
In caso di malattia o di attacco di parassiti o funghi, inoltre, l’albero è in grado di reagire e di contrattaccare. Il suo approccio è molto diverso da quello umano: non ricorre a medicine, ma tenta di isolare la parte malata, privandola di nutrimento per farla morire (togliendo la fonte di sussistenza al patogeno, che di conseguenza viene soppresso). Nel caso la parte malata sia un ramo, l’epilogo è la caduta della branca malata, nel caso sia il tronco, è una modificazione della crescita dei tessuti in modo da costruire una barriera fisica contro la malattia e da compensare eventuali squilibri strutturali.
Un albero, è scientificamente provato, è un vero e proprio maestro dell’autoregolazione.
Questo accade quando l’albero, come accennato, si trova in una condizione ideale. Ma sappiamo bene che nel contesto urbano raramente tale situazione si verifica.
Asfalto che soffoca le radici, escavazioni che le danneggiano, drastiche potature “di contenimento” ma di fatto spesso immotivate che in pochi minuti annullano anni di misurata e attenta crescita, cellula dopo cellula. Piantumazioni di alberi giovani e quindi ancora fragili in contesti inadatti, senza il necessario e periodico apporto d’acqua, con la corteccia lasciata alla mercé dei tagliaerba, le cui ferite sono una porta aperta per i patogeni.
A tutto questo non possono che seguire svariati “effetti indesiderati”:
L’albero le cui radici non riescono a trovare spazio e a ossigenare i propri tessuti, non può che sollevare l’asfalto (un esempio tra i tanti a Cernusco è il caso dei bagolari di Via Don Sturzo, su cui proprio in queste settimane si sta animatamente discutendo)
l’albero sottoposto a potature eccessive e mal eseguite, risponde “ricacciando” rami a crescita superveloce (per tornare rapidamente a un adeguato approvvigionamento di luce e CO2), ma proprio per questo più deboli e soggetti a malattie (quale miglior modo per assicurarci la caduta di rami alla prima neve o per una raffica di vento appena più forte del solito!)
l’albero le cui radici vengono compresse o danneggiate oppure a cui vengono tagliati rami importanti risponde cambiando il proprio assetto o la propria chioma per rimanere in equilibrio, magari inclinandosi
gli alberi, magari capitozzati in passato, che oggi avrebbero bisogno di un intervento (potature mirate) e che invece vengono trascurati, fino al momento in cui qualcuno dirà: “Sono troppo compromessi, vanno abbattuti!” (quante volte abbiamo sentito questa frase?)
infine, ci sono alberi che hanno avuto la sfortuna di crescere troppo vicini ad una nuova costruzione, togliendole la luce o la vista: non si sposta mai una nuova costruzione “perché ci sono gli alberi da salvaguardare”, si fa sempre il contrario: si eliminano gli alberi, per far posto al nuovo progetto; un caso emblematico ed ancora vivo nella nostra memoria è quello di via Verdi, al civico 26, dove due grandi tigli sono stati eliminati perché interferivano col nuovo cantiere.
Non si può più considerare un albero in città come semplice “arredo urbano”. L’albero è un essere vivente la cui complessità e perfezione commuovono. Se le conosci, ti lasciano letteralmente senza fiato. In più, nell’emergenza ambientale in cui ci troviamo, l’albero di città assume funzioni nuove, da studiare e utilizzare in maniera appropriata: la mitigazione delle bolle di calore, il rallentamento o la deviazione delle raffiche di vento, la cattura degli inquinanti dispersi nell’atmosfera. Sono solo alcune delle potenzialità di un “verde urbano” sapientemente progettato e valorizzato, su cui spesso le Amministrazioni sono, quanto meno, impreparate.
Perciò la gestione del verde nelle nostre città è un’attività strategica, che va affidata a personale altamente competente e su cui non si possono fare gare al ribasso. Deve poggiare su una visione avanzata e intelligente, fondata sulla ricerca di un perfetto equilibrio tra salvaguardia del pianeta, esigenze umane ed esigenze degli altri esseri viventi.
Vi lasciamo con un consiglio di lettura: “La timidezza delle chiome” di Pietro Maroè, edizioni Rizzoli. È il testo a cui molti dei contenuti di questo articolo sono ispirati e che ci ha aperto gli occhi su come sia inadeguato il modo in cui gli alberi, queste stupefacenti creature, sono percepite e gestite nelle nostre città. Lo regaleremo a breve alla biblioteca di Cernusco: se vorrete leggerlo, lo troverete anche lì.
“Che cosa pianta colui che pianta un albero? Pianta un amico per il cielo e il sole; pianta la bandiera libera dei venti; lo stelo della bellezza, dominante su tutto. Pianta una casa accanto al cielo per i canti e le ninna nanne degli uccelli al crepuscolo lieto e sereno, il canto dell’armonia del paradiso, ecco cosa pianta colui che pianta un albero. Che cosa pianta colui che pianta un albero? Pianta ombra fresca e tenera pioggia, e i semi e germogli dei giorni che verranno, e anni che sfumano e volano ancora; pianta la gloria della pianura; pianta l’eredità della foresta; i frutti del tempo che verrà; la gioia che vedranno occhi non ancora nati… Ecco cosa pianta colui che pianta un albero. Che cosa pianta colui che pianta un albero? Pianta, con linfa, foglie e legno, con amore per la casa e la fedeltà e pensieri lungimiranti per il bene civico, la sua benedizione sul vicinato che nel cavo della sua mano trattiene il bene di tutta la terra, la crescita di una nazione da un mare all’altro è nel cuore di colui che pianta un albero.
Ci vogliono ben 5 persone per abbracciare il cedro del Libano di Ronco! Il suo tronco ha una circonferenza di 6m e 80cm: un girovita di tutto rispetto, tra i più ampi di tutta la Città Metropolitana di Milano! Lo potete ammirare nel parco pubblico di Via Taverna, in tutti i suoi 27 metri di altezza. Scampato alla motosega all’inizio del secolo grazie a una raccolta firme degli abitanti della zona, vive con noi da circa 250 anni. Quello di Ronco è il più possente, ma non l’unico cedro del Libano a Cernusco: potete ammirarne altri, ad esempio, nel parco lungo il Naviglio vicino a Villa Alari (andando verso il parco dei Germani) o nel parco dell’ospedale Uboldo.
Per la loro sorprendente bellezza e maestosità, i Cedrus libani sono molto utilizzati nei parchi e nelle città e si può dire senza timore di sbagliare che ormai ce ne sono di più nei contesti urbani in giro per il mondo che nel loro luogo di origine, il Medio Oriente.
Un tempo i cedri erano diffusissimi nella zona dalla Turchia all’Iran. Le foreste libanesi erano quelle più estese, ma nel corso dei millenni furono a poco a poco depauperate: il legno dei cedri veniva utilizzato dai Fenici per la costruzione di navi e di edifici e fu impiegato per il Tempio e il trono di Re Salomone e per il Palazzo di Davide a Gerusalemme, la resina veniva invece largamente utilizzata dagli Egizi per l’imbalsamazione e per i sarcofagi. Vista la “comoda” collocazione geografica del Libano, queste conifere furono sfruttate anche da molti altri popoli, tra cui Greci, Romani, Babilonesi e Persiani. Foreste un tempo immense e rigogliose furono quasi completamente disboscate e mai più ricostituite. In Libano il cedro rimane nella bandiera nazionale e alcuni esemplari sopravvivono in un’area protetta, la Foresta dei Cedri di Dio ma oggi è la regione della catena montuosa del Tauro, in Turchia, la zona in cui l’albero è più diffuso.
In Europa il Cedrus libani è sbarcato nel 1683, in Italia il primo fu piantato nell’orto botanico di Pisa nel 1782 (l’esemplare è sopravvissuto fino al 1935).
È facilmente riconoscibile sia per l’aspetto maestoso sia per lo sviluppo tortuoso dei rami, che si innalzano verso l’alto assumendo una forma a candelabro. Gli esemplari giovani hanno una chioma piramidale mentre con l’età la pianta assume una forma a ombrello, con i rami che deviano verso una posizione orizzontale. È proprio questa forma che differenzia il Cedrus libani dal Cedro dell’Atlante e dal Cedrus deodara (o dell’Himalaya), che conservano invece la forma di cono.
Ma… attenzione! Il cedro che si trova vicino alla scuola Manzoni non ha la punta… ma è un Cedro deodara! Lo si capisce dagli aghi, più sottili e lunghi e dai rami penduli: evidentemente nel tempo la sua cima è stata tagliata per contenerne la crescita.
Il Cedrus libani, che non teme né freddo né siccità, è un campione di longevità: può vivere fino a 2.000 anni e arrivare fino a 40 metri di altezza. Raggiunge la maturità a circa 40 anni: possiamo capire che l’albero ha raggiunto gli “anta” dal fatto che inizia a produrre i suoi frutti, delle grosse pigne erette, con l’apice appiattito, da cui a fine estate originano i semi, simili a scaglie.
Avendo una forma policormica (con più fusti che si dipartono da un solo ceppo) il suo legno non è molto ricercato (viene oggi usato essenzialmente per gli strumenti musicali) ma sono vari gli impieghi in fitoterapia: le foglie e la corteccia, che contengono abbondante olio volatile, possono essere utilizzate a scopo balsamico e antisettico, il macerato glicemico viene invece usato per alcuni problemi della pelle. L’olio essenziale è anche un buon repellente per gli insetti: versandone poche gocce su un materiale assorbente si può ottenere un utile sacchetto antitarme.
Uno dei principali nemici di questo gigante è un insetto minuscolo, l’afide (Cenara laportei) mentre uno dei suoi principali alleati è la coccinella, che di afidi si nutre: un altro buon motivo per amare questo piccolo coleottero a pallini!
(Gli alberi di Cernusco sono tanti e bellissimi: non perdere i prossimi numeri del #CernuscoTreeTour per conoscerli sempre meglio!).
Cedrus deodara (Himalaya)
Cedrus libani (Libano)
Cedrus atlantica (Atlante)
lunghezza aghi
più di 2.5 cm
tra 0.8 e 2.5 cm
tra 0.8 e 2.5 cm
Forma dei coni (pigne)
appuntiti, tondeggianti
Ovoidali, troncati, ma poco incavati all’apice
Ovoidali, nettamente incavati all’apice
Orientamento dei rami
generalmente orizzontali
generalmente verso l’alto o decisamente ascendenti
generalmente verso l’alto o decisamente ascendenti
Uno ci fa compagnia mentre aspettiamo di entrare alle Poste di Via Pietro da Cernusco, altri ci accompagnano verso l’entrata del cimitero in Via Cavour, altri ancora ci fanno ombra mentre ci riposiamo nei giardini di Villa Greppi. Tronco liscio e massiccio, chioma arrotondata e maestosa, alto mediamente fino a 25 metri, alcuni toccano anche i 30 metri, foglie ellittiche o lanceolate e seghettate ai margini, drupe (frutti) piccole e scure: di bagolari a Cernusco possiamo riconoscerne tantissimi. I suoi nomi popolari ci raccontano molto di lui:
“bagolaro” deriva da “bagola” che nei dialetti dell’Italia settentrionale significa “manico”: il suo legno, chiaro, molto resistente e facile da lavorare per la sua flessibilità, è da sempre usato per creare manici, bastoni da passeggio, mobili, attrezzi, carrozze, remi e altri manufatti sottoposti ad usura. Addirittura, per gli ingranaggi sommersi dei mulini ad acqua!
“spaccasassi“, perché le sue radici sono talmente forti che riescono a sgretolare i sassi, facendosi largo nel terreno. Non ha problemi a crescere anche in terreni rocciosi o sui pendii e viene usato spesso per il consolidamento e il rimboschimento di terreni sassosi;
“albero dei rosari“, perché i suoi semi un tempo venivano usati per i grani dei rosari (oltre che come munizioni per le cerbottane dei bambini!).
È rustico e resistente, ama gli spazi soleggiati e caldi ma è in grado di sopportare anche climi più rigidi, piogge e venti forti. Per questo, per la sua capacità ombreggiante e ornamentale, per la sua funzione di barriera anti-inquinamento, per la sua resistenza ai parassiti e alle frequenti potature, è molto utilizzato nelle città. Cresce molto lentamente ed è uno degli alberi più longevi: può vivere fino a 500 anni!
Ora i bagolari di Cernusco sono quasi a fine fioritura, ma forse non ve ne siete neanche accorti: per vedere le sue piccole infiorescenze giallo-verdi bisogna prestare un pò di attenzione! Sono già visibili le piccole drupe, che maturano a fine estate: si tratta di piccoli frutti (sono drupe anche la ciliegia e la pesca) di circa 1 cm, con una buccia scura molto sottile e una polpa dal sapore dolciastro. Eh sì, lo sapevate che sono commestibili?
Ne sono golosi gli uccelli, che in autunno si radunano per banchettare sui suoi rami, spargendo poi, con la digestione, i semi. Noi umani ne ricaviamo invece confetture e liquori. I regali che quest’albero ci fa non finiscono qui: i semi, se spremuti, danno un olio simile a quello delle mandorle dolci, mentre dalla corteccia e dalle radici viene estratto un colorante giallo per i tessuti di seta. Infine, le foglie sono un ottimo foraggio. Un’ultima curiosità: i suoi rami più alti ospitano spesso la Vanessa Antiopa (Nymphalis antiopa), un’elegante farfalla.
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