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# tu lo conosci il PLIS?

Il PLIS è il parco Est delle Cave: un parco speciale che fa da cuscino tra aree urbanizzate e dove, insieme alle profonde ferite delle cave, ci sono ecosistemi importanti che consentono di entrare in contatto con la natura, e nello stesso tempo testimonianze storiche ed architettoniche che narrano l’evoluzione del territorio e del paesaggio nel tempo.

I nostri itinerari intendono far conoscere il parco, perché conoscere è il primo passo per proteggere una risorsa preziosa ma poco tutelata e poco valorizzata

Fra terra e acqua: il primo appuntamento è per domenica 30 maggio alle 10.00: esploreremo la zona del Naviglio e di Cascina Gaggiolo, condividendone storia, informazioni sulla fauna locale e aspetti geologici. 

Ci ritroveremo lungo il Naviglio (via della Martesana), all’altezza del ponte pedonale dietro il centro sportivo. 

L’uscita durerà all’incirca 2 ore  e verrà svolta nel rispetto delle normative anti-covid (anche per questo i posti sono limitati!).

Per iscriverti invia una mail a benecomunecernusco@gmail.com  entro il 28 maggio.

Ti aspettiamo!

§§§

Come arrivare:  il Naviglio è raggiungibile solo a piedi o in bicicletta 

Per chi arriva in auto:

– da Nord, può parcheggiare in via Buonarroti presso il centro sportivo e poi raggiungere il luogo d’incontro sulla sponda sinistra della Martesana, attraversando il ponte pedonale sul Naviglio presso la sede dell’associazione Canoa Fluviale Martesana

– da Sud: in fondo a via Melghera c’è un piccolo parcheggio, da lì a piedi si prosegue sul ponte della metropolitana sino al punto d’incontro sulla sponda sinistra del Naviglio.

Una strage nascosta

Sagome di uccelli applicate su finestre

Gli uccelli nei loro habitat sono perfettamente in grado di evitare in volo gli ostacoli, tuttavia i vetri degli edifici (ma non solo) rappresentano per loro una duplice fonte di pericolo in quanto trasparenti e riflettenti.
Nel primo caso, l’uccello può vedere l’albero dietro la lastra di vetro ma non riuscire a percepire la presenza dell’ostacolo in mezzo, nel secondo caso invece, l’uccello vede il riflesso dell’ambiente circostante (cielo, alberi, ecc.) oppure vedendo la sua stessa immagine riflessa, ha l’istinto di attaccarla.
Quest’ultimo caso tuttavia, avviene maggiormente in primavera che coincide con il periodo di riproduzione quando gli individui mostrano una maggiore territorialità.
Per farvi capire quanto non sia un problema da sottovalutare, prendiamo in considerazione qualche dato:

  • secondo uno studio del 2014, circa 1 miliardo di uccelli muore in questo modo negli Stati Uniti (Loss et al. 2014);
  • sempre negli Stati Uniti, il 50% di questi uccelli muore in seguito all’impatto con finestre di case e appartamenti;
  • in Italia, alcuni studi effettuati lungo strade e autostrade, hanno stimato una mortalità superiore di 800 uccelli all’anno, per ogni chilometro di strada! (Galuppo e Borgo 2006; Capitani et al. 2007; Costa 2012; Campedelli et al. 2014).

Ma esistono delle soluzioni a questo problema? Certamente!
Sono tante, a costi estremamente moderati e sono anche semplicissime da applicare:

  • soluzioni a strisce orizzontali (veneziane);
  • soluzioni a strisce verticali (tende e/o lamelle);
  • i cosidetti “dot pattern”, ovvero delle trame a punti da applicare sul vetro;
  • zanzariere;
  • tende;
  • adesivi di varie forme e dimensioni;
  • adesivi quasi invisibili all’occhio umano e al contrario ben visibili agli uccelli.

E cosa possiamo fare se l’uccello fortunatamente non muore immediatamente in seguito all’impatto?
Prima di fare qualsiasi altra cosa, chiamare un CRAS (Centro di Recupero Animali Selvatici) o un CRFS (Centro Recupero Fauna Selvatica).
Per la provincia di Milano (nello specifico ad Est), abbiamo tre contatti disponibili:

  • CRAS WWF Vanzago;
  • CRFS LIPU Milano;
  • ENPA Monza e Brianza.

Loro saranno perfettamente in grado di consigliarvi cosa fare e come farlo, in attesa dell’eventuale recupero dell’animale.
Ricordiamo infatti che, oltre ad essere illegale gestire e detenere un animale selvatico senza un permesso, le nostre azioni per quanto fatte con le migliori intenzioni, possono rivelarsi più dannose del previsto.

Per concludere, proviamo un attimo a metterci nei panni degli uccelli con questo video in cui nei primi secondi vediamo quello che vedono loro (visione stereoscopica(*) limitata) e mano a mano quello che invece vediamo noi (visione stereoscopica elevata):

(*) : campo visivo coperto da entrambi gli occhi.

Abbiamo voluto approfondire l’argomento perchè anche qui a Cernusco ci sono costruzioni con vetrate che sono pericolose per i volatili.
In particolare, più di una volta abbiamo visto uccelli schiantati contro le vetrate della palestra dell’oratorio Paolo VI. Abbiamo già avvisato chi di dovere e ci siamo resi disponibili per applicare le opportune sagome anti collisione.
Vi aggiorneremo sugli sviluppi

Note a margine della presentazione del “Progetto di recupero di cava* Gabbana”

il lago Gabbana: nel luglio 2019 (in basso) e a marzo 2021 – foto: Franco Ingangaro

L’amministrazione comunale di Vimodrone ha presentato il progetto per il recupero dell’area che si produrrà a seguito del controverso interramento del lago Gabbana attraverso scelte insolite, di rottura: in primo piano nella locandina di promozione dell’evento viene utilizza la foto del lago che non ci sarà più a causa del riempimento, una foto rubata, realizzata da uno degli esponenti di Salviamo il lago Gabbana, il comitato che contrasta l’intervento; per la diretta Facebook di presentazione del progetto è stata scelta la data 22 marzo, giornata mondiale per l’acqua, quell’acqua che il riempimento del lago andrebbe a cancellare.

Scelte dettate dal calcolo, dal gusto del paradosso oppure della provocazione: ciascuna opzione porta con sé valutazioni che non indulgono al dialogo dei cittadini.

Alcuni elementi sono emersi con chiarezza nel corso della presentazione:

  • il riconoscimento ai comitati contrari: l’ammissione – esplicita e rimarcata più volte – da parte di tutte le componenti il tavolo di lavoro, sindaco ed assessore per primi, seguiti dalle associazioni e dalla facilitatrice, che senza la pressione dell’opinione pubblica ed i rilievi arrivati dai comitati Salviamo il lago Gabbana e Bene Comune Cernusco, non sarebbero mai state valutate tutte le criticità dell’intervento di interramento, né ci si sarebbe preoccupati del destino e del recupero dell’area. Dunque una conferma che non erano stati considerati in modo adeguato rischi ed impatti ambientali, anche in relazione alla destinazione futura dell’area .
  • l’interesse per l’acqua: quel lago che l’interramento andrà a cancellare rispunta nel progetto di recupero come elemento cardine rispetto al quale ricostruire la biodiversità. Così il profondo bacino lacustre di 28110 mq, prodotto di un’attività estrattiva da rapina che ha cavato sino all’ultimo orizzonte utile, diventa un’area umida di 15000 mq. L’acqua è dunque sempre al centro ed anche in questo caso le proteste hanno messo in evidenza l’importanza delle zone umide in un sistema di aree protette.
  • la valenza ecologica del lago Gabbana: quell’area – sempre descritta come degradata – rappresenta, al contrario, un ecosistema consolidato con vegetazione e fauna significative;
  • l’interesse pubblico dell’area: le polemiche hanno portato l’amministrazione ad interrogarsi sul destino funzionale di questa area, che è sì privata, ma dove ci sono un ecosistema importante ed un lago la cui acqua alimenta la falda e la rete idrica locale, elementi che avrebbero dovuto costituire i presupposti per dichiararla d’interesse pubblico. Elementi che oggi emergono con ancora maggiore nettezza e dunque la strada non può essere che quella.
  • La mancanza di garanzie: l’impegno vincolante al recupero ambientale che è stato richiesto (tardivamente) alla proprietà dell’area, non presenza sanzioni; i termini esecutivi della polizza fidejussioria di 100000 euro non sono noti e, comunque, la cifra non basterebbe a risarcire nessun danno ambientale. Dunque non ci sono elementi che possano garantire l’effettiva realizzazione di tutti i passaggi e, soprattutto, il controllo.

Infine, ma non ultima, la contaminazione da solventi clorurati delle acque, segnalata dal geologo incaricato dalla proprietà dell’area: è stata esposta come se fosse normale e non fossero coinvolte sostanze inquinanti che provocano effetti cancerogeni e teratogeni, nel più completo silenzio da parte del sindaco che pure è responsabile della salute pubblica.

Al di là del progetto di recupero, da realizzare nel futuro, è importante affrontare i problemi ed i rischi del presente, rispetto al quale chiediamo all’amministrazione di Vimodrone che tipo di provvedimenti intende intraprendere. E’ necessario continuare a vigilare segnalando che la nostra attività non è meramente ostativa, anzi, è soprattutto rivolta a capire quali siano i problemi e le soluzioni per meglio intervenire.

*la cava è in realtà un lago

#LagoGabbana: comunicato stampa

Il comitato Salviamo il lago Gabbana, insieme al comitato Bene Comune Cernusco, ha messo in luce le lacune procedurali e, soprattutto, i rischi ambientali legati alla vulnerabilità della falda acquifera per l’intervento di interramento del Lago Gabbana sin dall’inizio dei lavori nell’estate del 2019. Lavori che erano stati autorizzati l’anno precedente, ma senza alcuna forma di informazione alla popolazione, nonostante si trattasse di un intervento di grande rilevanza economica ed impatto ambientale.

Oggi emerge che nelle acque del lago ci sono concentrazioni al di sopra dei limiti di solventi clorurati, sostanze cancerogene e teratogene, e che il riempimento del lago determinerà un innalzamento della superficie della falda e della permeabilità del terreno anche nelle aree circostanti con possibili problemi di infiltrazioni.

A fronte del rischio di inquinamento ambientale ci aspettiamo interventi conseguenti volti a garantire l’interesse pubblico, preminente rispetto agli interessi privati che gravano all’area.

Confidiamo che vengano prese tutte le misure necessarie a tutela della salute pubblica poiché il lago Gabbana si trova nell’area di ricarica della falda idrica, ad elevata vulnerabilità, da cui attingono i pozzi della rete di Vimodrone.

Per questo motivo il comitato Salviamo il lago Gabbana ed il comitato Bene Comune Cernusco hanno depositato ai carabinieri di Vimodrone il 17 marzo un esposto denuncia in cui si evidenziano questi elementi emersi di recente.

In ogni caso noi saremo dalla parte del lago e degli interessi collettivi.

il lago Gabbana

#OcchiAperti: Un incontro inaspettato in Martesana

Nell’ultimo mese, sono state fatte alcune osservazioni di una specie animale la cui presenza sul nostro territorio è rara ed occasionale.
La specie in questione è lo smergo maggiore (Mergus merganser), un’anatra tuffatrice di grosse dimensioni (lunghezza compresa tra i 58 e i 68 cm) il cui areale di distribuzione comprende l’Europa, l’Asia settentrionale e il Nord America.

Smergo maggiore (Mergus merganser)
Fig. 1 – Un esemplare di Smergo maggiore (Mergus merganser) femmina
(©Federico Belloni – All Rights Reserved)

Negli ultimi anni la specie ha mostrato una tendenza demografica positiva in Europa centro-meridionale, sia come nidificazioni che come svernamento.
Il medesimo trend si è osservato nella regione alpina e prealpina, dove il numero di nidificazioni accertate risulta essere in costante incremento negli ultimi anni, così come anche la presenza di gruppi di smerghi maggiori svernanti.
I luoghi prediletti da questa specie per la nidificazione li troviamo in aree forestali, lungo fiumi e laghi, sia prealpini che artificiali, con presenza di alberi maturi ricchi di cavità dove poter costruire il proprio nido, ma anche anfratti situati in pareti rocciose verticali affacciate sui bacini lacustri.
Questo anatide è una specie nidificante di recente immigrazione in Italia, il cui primo evento accertato e documentato di nidificazione risale al 1996 in Veneto.
I luoghi di svernamento principali in Italia, attualmente, si trovano in Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia-Giulia, nei principali bacini e corsi d’acqua.

Osservazioni di Mergus merganser effettuate in Italia
Fig. 2 – Osservazioni di Mergus merganser effettuate in Italia e registrate sul sito iNaturalist.org

Nelle ultime settimane, si sono ripetuti più avvistamenti di questa specie:

  • 29 novembre 2020: due individui (femmina), osservati da Diana (*);
  • 30 dicembre 2020: un individuo (femmina), osservato da Diana(*) presso la Cava Gaggiolo;
  • 7 gennaio 2021: osservati 4 individui (1 maschio e 3 femmina);
  • 14 gennaio 2021: osservati 3 individui (femmina);
  • 16 gennaio 2021: un individuo (femmina), osservato da Federico(*).

È ancora da chiarire se si trattasse dei medesimi esemplari o di individui diversi che talvolta sono stati osservati in gruppo oppure isolati.
In tutti i casi, è altamente probabile che si trattasse di individui esclusivamente di passaggio, più che di individui svernanti nel nostro territorio, che magari hanno deciso di sfruttare il corso del Naviglio come corridoio in connessione con il fiume Adda, per poi spostarsi nei loro luoghi abituali dove superare l’inverno.

Inoltre, la presenza di diversi laghi di cava distribuiti all’interno del PLIS (Parco Locale di Interesse Sovracomunale) Est delle Cave, potrebbe essere stata una forte attrattiva per questi anatidi, essendo potenzialmente delle ottime aree di sosta per riposarsi e rifocillarsi (gli smerghi maggiori si nutrono infatti di pesci, principalmente).

La pandemia e le restrizioni da zona rossa tuttavia non ci hanno permesso di monitorare al meglio la situazione nelle cave (molte delle quali inaccessibili ai “comuni” cittadini interessati al monitoraggio di specie così interessanti).

Ma arriviamo al punto: perché vi stiamo parlando di questo anatide?
L’osservare questa specie deve renderci più consapevoli delle ricchezze, in termini naturalistici e paesaggistici, che il nostro territorio potrebbe potenzialmente offrirci.
Questa consapevolezza dovrebbe riguardare tutti noi, grandi e piccoli, naturalisti e semplici appassionati, ma soprattutto, deve riguardare chi attualmente fa parte e gestisce il PLIS Est delle Cave. Non è comunque una novità che il nostro territorio custodisca delle vere e proprie bellezze, alcune meno comuni e più particolari di altre.

Tutto questo nonostante ci troviamo in un contesto altamente urbanizzato, come la città metropolitana, in cui purtroppo si persegue ancora una politica volta alla continua urbanizzazione a discapito, spesso, delle aree verdi.

Qualunque sia stato il motivo della visita da parte degli smerghi maggiori, sicuramente una cosa ci insegnano: dobbiamo, tutti, imparare a proteggere e valorizzare il nostro territorio e le zone verdi rimaste che ci circondano.
E, perché no, cominciare ad invertire il trend di continua cementificazione, tutelare le aree verdi e favorire il recupero delle aree dismesse.

(*) Autori:
Diana Sciandra, D.ssa naturalista
Federico Belloni, Dr. naturalista.

Bibliografia:

Arturo Gargioni et al. (2013): Prima nidificazione di Smergo maggiore Mergus merganser (Linnaeus 1758) in provincia di Brescia (Lombardia). Natura Bresciana Ann. Mus. Civ. Sc. Nat., Brescia, 38: pp. 133-134.

BirdLife International (2018): Mergus merganser. The IUCN Red List of Threatened Species. International Union for Conservation of Nature and Natural Resources.

Enrico Viganò et al. (2006): Prima nidificazione di Smergo maggiore Mergus merganser in Lombardia. Picus 32: pp. 115-116.

Fabio Saporetti (2019): Lo svernamento dello Smergo maggiore Mergus merganser in Lombardia nel periodo 2002-2018. Bollettino Ornitologico Lombardo online, numero 1.

Lars Svensson, Killian Mullarney, Dan Zetterstrӧm (2015): Guida degli uccelli d’Europa, nord Africa e vicino oriente. Ricca Editore.

Marco Zenatello et al. (1997): Prima nidificazione di Smergo maggiore Mergus merganser in Italia. Riv.Ital.Orn. 66: pp. 207-210.

Marco Zenatello et al. (2009): Lo Smergo maggiore Mergus merganser nidificante in Italia: 1996-2008. Alula XVI (1-2): pp. 491-496.

Sitografia:

www.iucnredlist.org/species/22680492/132054083
www.iucn.it/scheda.php?id=-378269316
www.inaturalist.org
www.ornitho.it

#cheariatira: la prima centralina

La centralina di rilevamento PM10 / PM2.5 di “Che aria tira” installata a Cernusco

Tra le iniziative che la nostra associazione intraprende per il monitoraggio della qualità dell’aria nel nostro Comune, nel mese di Dicembre 2020, è stata acquisita una centralina per la misura delle polveri sottili PM10 e PM2.5 realizzata e venduta dal “Comitato Mamme NO Inceneritore onlus”  nell’ambito del progetto “Che Aria Tira”.

Questo progetto ha portato alla realizzazione di una rete di centraline sparse per l’Italia i cui dati sono accentrati e resi pubblici sullo stesso sito.

La centralina acquisita da Bene Comune Cernusco è in fase di test sul balcone di casa un nostro socio di Cernusco (vedi foto sopra) in attesa di una collocazione definitiva.

 I dati raccolti sono visibili al link seguente:

Dettaglio dati raccolti dalla nostra centralina

La centralina è costruita usando un sensore ottico di polveri e un microcontrollore Raspberry Pi, inseriti in una scatola stagna – vedi figura seguente.

Le apparecchiature all’interno della centralina

I componenti della centralina sono facilmente reperibili sui siti di vendita on-line di materiale elettronico a costi bassi e fanno parte di quel mondo dell’eletronica “open source” che permette a molti cittadini appassionati  di costruire, di propria iniziativa, strumenti  di monitoraggio dell’ambiente e tanto altro.  Anche i software necessari a far funzionare i microcontrollori come Rasperry Pi, il famoso Arduino e altri, sono resi disponibili a tutti gratuitamente.
Questo fenomeno ha aperto molte strade di partecipazione dei cittadini al controllo dell’ambiente, detto anche Monitoraggio Civico, che completano quanto già fatto, spesso parzialmente, dalle autorità competenti.

La partecipazione attiva dei cittadini a queste tematiche, fino a poco tempo fa riservate a specialisti, è visto da più parti come fenomeno positivo, sia per una crescita culturale dell’individuo, sia per una maggiore consapevolezza nel giudicare i processi decisionali di politica ambientale e nel verificarne gli effetti.

Veniamo ora al funzionamento della centralina, in particolare del sensore di polvere.
Il metodo è quello ottico: l’aria esterna viene aspirata da una piccola ventola dentro una camera oscura dove un laser a radiazione infrarossa illumina le particelle di polvere presenti.  Un sensore di luce, posto ad un certo angolo rispetto al laser, rileva la piccola quantità di radiazione diffusa dalle particelle.
Un fenomeno analogo lo possiamo notare in una stanza buia quando entra un raggio di sole da una feritoia nella tapparella, il luccichio che vediamo è prodotto dalle particelle di polvere sospese nell’aria che altrimenti non riusciremmo a vedere ad occhio nudo.

Il sensore di luce nella centralina emette dei segnali elettrici che vengono contati e misurati dal microcontrollore, il quale provvede a calcolare la concentrazione di particelle nell’aria campionata.
Due sono le misure compiute dal nostro sensore: la concentrazione di particelle con diametro inferiore a 10 micron (chiamate PM10) e inferiore a 2,5 micron (PM2.5). Le misure sono espresse in microgrammi per metro cubo (µg/m3).  Queste sono infatti le due categorie di particelle più pericolose per i nostri polmoni.

Le ARPA, Agenzie Regionali per l’Ambiente, misurano queste stesse particelle in reti di stazioni fisse con metodi diversi dalla nostra centralina, più accurati, ma molto più costosi e ingombranti. Questi vincoli consentono l’installazione solo di poche centraline sul territorio regionale, inoltre i dati di questa rete sono disponibili come  medie ogni 24 ore.

Il vantaggio delle centraline come la nostra è quello di permettere una maggiore diffusione sul territorio, dato il basso costo e la facilità d’installazione, e misure più fitte nel tempo; ad esempio la nostra centralina compie una misura al minuto, in modo da poter avere l’andamento degli inquinanti, ad esempio, nell’arco di tempo di una giornata. 

L’affidabilità di queste misure è determinata da un processo di calibrazione ottenuto in laboratorio confrontando i dati forniti dal sensore con quelli di strumenti campione molto precisi.

Sulla base delle concentrazioni misurate di PM10 e PM2,5 si possono fare confronti con i valori limite consigliati dall’Unione Europea, al  di sopra dei quali potremmo avere dei danni alla nostra salute.

Per altre informazioni sulle polveri sottili come ad esempio la loro provenienza, consigliamo di consultare il sito:

https://www.arpalombardia.it/Pages/Aria/Inquinanti/PM10-PM2,5.aspx?firstlevel=Inquinanti

L’intenzione di Bene Comune Cernusco è quella di collocare la centralina in un posto significativo per determinare la qualità dell’aria che respiriamo a Cernusco, ad esempio nei pressi di una scuola.  I dati forniti saranno resi subito disponibili a tutti su Internet, assieme a considerazioni sugli stessi.

Nel grafico qui sotto, si può vedere un esempio di come sono presentati su Internet i dati di PM10 misurati dalla nostra centralina.

Grafico del PM10 – Media ogni 5 minuti

Inoltre, si possono vedere su una mappa navigabile, tutti i dettagli sugli inquinanti misurati dalla rete di centraline, uguali alla nostra, installate finora in varie parti d’Italia, sempre nell’ambito del progetto “Che aria tira”. A questo link si possono vedere, oltre alla nostra, le altre centraline installate in Lombardia.

Stiamo raccogliendo, in una pagina dedicata del nostro sito, tutte le informazioni sull’argomento “Misura delle polveri sottili con sensori ‘low cost’ e possibilità di autocostruzione di centraline dedicate“. Tornate a trovarci per gli aggiornamenti.

#cheariatira: la passione per i botti continua

Eccoci all’inizio di un nuovo anno, che tutti ci auguriamo porti finalmente un po’ di normalità e ci consenta di tornare ad incontrarci, darci la mano, abbracciarci.

Un nuovo anno porta inevitabilmente nuovi propositi, nuove speranze e nuovi impegni.
Tra i molti che noi di Bene Comune Cernusco vorremmo vedere realizzati – di cui trovate ampia illustrazione nei post presenti in questo blog – uno ci preme nuovamente ribadire proprio oggi, 1° Gennaio: possiamo finalmente fare qualcosa per migliorare la qualità dell’aria che respiriamo?

Lo vogliamo sottolineare proprio oggi, primo giorno dell’anno, perchè vediamo nuovamente (come scrivemmo esattamente un anno fa) gli effetti della inutile e dannosa passione per i botti di mezzanotte.

Stiamo lavorando per una nostra centralina – ne parleremo dettagliatamente nei prossimi giorni – di rilevamento delle polveri sottili, le famigerate PM2.5 e PM10, e abbiamo già un sensore attivo da alcuni giorni in via sperimentale. Ecco cosa è successo la notte scorsa alle concentrazioni di polveri sottili a Cernusco:

Media mobile oraria della concentrazione di PM 2.5
Media mobile oraria della concentrazione di PM 10

Come si può chiaramente vedere, proprio a partire dalla mezzanotte, la concentrazione sia del PM10 che del più pericoloso PM2.5 è più che triplicata in pochi minuti. E’ vero che l’effetto non è durato molto, dopo qualche ora l’aria fumosa generata dagli scoppi di ogni sorta di petardo si era dileguata, ma le polveri generate si sono semplicemente disperse maggiormente nell’atmosfera, non sono scomparse.

Già l’anno scorso e l’anno precedente avevamo lanciato un appello per evitare di aggravare le precarie condizioni dell’aria che respiriamo con questa dannosa usanza di sparare botti e petardi in quantità industriale. Nemmeno il lockdown e la zona rossa imposta dalla pandemia sono servite a migliorare la situazione.

Noi continuiamo a segnalare i danni prodotti all’ambiente da questa abitudine dannosa e continuiamo anche a sperare che un po’ alla volta si capisca che ogni danno inferto al pianeta, piccolo o grande, in qualunque modo, prima o poi ci si ritorce contro e ci costringe a rimedi sempre più costosi, drastici e sempre meno efficaci.

L’appuntamento è per l’anno prossimo: sarà la volta buona?

#alberi: il Bosco del Fontanone

Il Bosco del Fontanone

Durante tutta la carriera scolastica riceviamo soltanto brandelli di conoscenze in ambito ecologico, insufficienti per stimolare la nostra curiosità e volontà di approfondimento. Il risultato è che non sviluppiamo alcuna sensibilità in materia. Azioni virtuose, come il corretto conferimento dei rifiuti o guidare un’auto ibrida sono il minimo sindacale, utili a non fare troppi danni e a lavare la propria coscienza. Troppo poco per migliorare l’ambiente in cui viviamo.

Cernusco sul Naviglio spicca, oltre che per la condizione socioeconomica nettamente superiore alla media nazionale, per una reputazione “verde” rispetto alle cittadine contigue. I parchi lungo il Naviglio, sapientemente curati nei punti di attraversamento, assolvono perfettamente all’immagine “green” che le amministrazioni comunali amano trasmettere e convogliano l’attenzione degli stessi cittadini, perennemente alla ricerca di un contatto con la natura.

Nel frattempo però, si continua a spargere cemento in ogni direzione.

Le varie amministrazioni comunali hanno dato prova in passato (e continuano a farlo), attraverso le famigerate varianti al PGT, di saper piegare le leggi della matematica e della fisica arrivando a dimostrare contortamente che più si costruisce, più aumenta il verde, attraverso meccanismi che portano il Comune ad acquisire terreni non edificati per incrementare il “verde pubblico” in cambio di permessi di costruire in altri lotti di costruttori privati. L’unico concreto incremento cui stiamo assistendo, in realtà, è quello dei metri cubi di cemento, anno dopo anno.

Qualcosa non torna.

È proprio il concetto di “verde” ad essere distorto. Il pericolo è non riuscire più a concepire alcunché di diverso dal Parco dei Germani, di abituarci ad una natura totalmente addomesticata, piegata, standardizzata, di preferire il verde di un campo da golf a quello di un bosco spontaneo.

A Cernusco c’è un campo da golf, riservato ai soci del Contry Club, e c’è anche un bosco, aperto a tutti. È il “Bosco del Fontanone”, una piccola selva a nord della città che merita un approfondimento.


Non si tratta di un relitto dei boschi planiziali che secoli fa ricoprivano la pianura padana ma, più prosaicamente, è l’evoluzione di una sorta di rimboschimento attuato nei primi anni ’80, tra l’altro con metodologie che oggi troveremmo quanto meno approssimative.

Il bosco rientra in toto nel perimetro del mitico quanto evanescente “PLIS (Parco locale di interesse sovracomunale) Est delle cave”, e potrebbe costituirne un punto focale, se solo il PLIS godesse di qualche tutela degna di questo nome.

Nell’impianto originario furono piantumate, assieme ad alcune essenze nostrane, due specie altamente invasive che oggi nessuno oserebbe infilare in un bosco: la robinia e la quercia rossa, entrambe di origine nordamericana. La prima si caratterizza per l’elevata invasività nei primi anni, ma è poco longeva; la seconda invece cresce rapidamente e già dopo pochi anni produce ghiande in abbondanza e con alto tasso di germinabilità. Inoltre, la quercia rossa è una specie longeva, per cui, nel lungo periodo, potrebbe impadronirsi di tutto il bosco causando una grave riduzione delle specie autoctone.

Per ovviare a questo problema nel 2015 il Comune, grazie a risorse provenienti da oneri di urbanizzazione e stanziamenti della fondazione Cariplo, decise di “riqualificare” il bosco. Termine che, associato ad elementi naturali, provoca senso di allarme e repulsione, come se la natura tendesse a dequalificarsi da sola.

 In tale “riqualificazione”, oltre all’espianto delle due principali specie infestanti (robinia e quercia rossa) erano previsti i rifacimenti dei sentieri con pietrisco (quindi introducendo un materiale che, seppur naturale, non è presente in questa zona) e la piantumazione di essenze locali, tra cui alcune di cui il boschetto era privo.

Solitamente, quando si taglia un bosco, il proprietario non solo non affronta spese, ma spesso ci guadagna, perché viene pagato da chi provvede al taglio, il quale poi venderà la legna che si sarà prodotta. Ma in questo caso non è successo.

Tuttavia l’aspetto principale della vicenda riguarda la valutazione sui risultati attesi, dopo 5 anni.

Le robinie, che dovevano essere estirpate in un’ampia parte del bosco, sono palesemente aumentate di numero, e con rinnovato vigore. La robinia è sì poco longeva, ma se la si taglia alla base produce polloni in gran numero che crescono molto più velocemente delle specie autoctone (farnia, frassino, acero…) finendo per soffocarle e impossessandosi di estese porzioni di bosco, con grave riduzione della biodiversità. Ci sono quindi due strategie: o le si lascia morire di vecchiaia (già dopo 30/40 anni la robinia mostra evidenti segni di declino) incentivando altre specie che pian piano iniziano a crescere sotto di essa, oppure si adotta la scelta opposta, cioè tagliarle, purché si intervenga strappando i polloni fino a che il ceppo non ne produce più. In questa seconda modalità sono necessari, ottimisticamente, 3-4 anni di interventi continui.

L’eradicazione delle querce rosse invece ha successo se si parte dalla rimozione degli esemplari di maggiori dimensioni, intervenendo progressivamente sulle piante più giovani, in modo da ridurre di anno in anno la produzione di ghiande e quindi di nuove piante.

Anche in questo caso occorrono diversi anni di interventi mirati.

Ad oggi dobbiamo rilevare che la quercia rossa è ancora abbondantemente presente nel bosco e ad ogni primavera nascono centinaia di piccole plantule.

Riguardo le piantine autoctone messe a dimora (1250 alberi e 4450 arbusti), ne restano poche decine, la maggior parte è morta per la competizione con le piante più grandi da cui erano circondate. Un epilogo facilmente prevedibile.

Il bosco non ha potuto estendere la sua superficie, benché i campi che lo circondano siano di proprietà del Comune. Questi preferisce darli in locazione ad aziende agricole senza intaccarne minimamente i confini. Il bosco quindi c’è, ma non deve disturbare.

Non sono state create zone umide, fatto degno di nota se si considera che il nome “Fontanone” deriva dalla presenza di una risorgiva che, a causa delle escavazioni nelle cave circostanti, è ormai asciutta. A questo va aggiunto che persino la roggia che lo delimita a sud non è stata liberata dai suoi argini di cemento.

Eppure qualche segnale di ottimismo va colto: delle poche piantine sopravvissute qualcuna si spera possa raggiungere la maturità ed iniziare a riprodursi, arricchendo la biodiversità. La natura trova sempre una sua armonia, soprattutto se l’intrusione umana è contenuta e rispettosa, e riesce a regalarci scorci affascinanti.


Il Bosco del Fontanone andrebbe valorizzato (non riqualificato!) avvalendosi di tecnici professionisti che operino in sinergia con l’associazionismo locale, che con la continua osservazione e presenza sul campo traggano un quadro completo e costantemente aggiornato dello stato di fatto. I massivi interventi una tantum andrebbero evitati perché fortemente impattanti, costosi e spesso effettuati da ditte o associazioni non radicate sul territorio che non hanno al primo posto il bene comune.

Infine una considerazione: la vocazione del bosco del fontanone è quella di un ambiente naturale che unitamente ad altri, contenuti nel PLIS, andrebbe a costituire quella fascia verde di cui Cernusco ha disperatamente bisogno per restare separata dalla dilagante piovra della cintura milanese, di cui Cologno Monzese e Vimodrone fanno ormai parte. Per questa ragione il Bosco del Fontanone, come del resto il PLIS su cui insiste, deve essere inquadrato in un’ottica diversa rispetto a quella dei parchi urbani.

Il bosco è un ecosistema ricco, migliora la qualità dell’aria, della falda superficiale, spezza la bolla termica della metropoli, regala un paesaggio piacevole ed offre rifugio a piccoli mammiferi, anfibi e diverse specie di uccelli che arricchiscono e migliorano la nostra qualità della vita.

A Cernusco un piccolo bosco c’è e sta a noi proteggerlo e promuoverlo.

Un campo non vale l’altro

Un campo agricolo a fianco di un naviglio cinquecentesco è paesaggio. Paesaggio, tutelato dall’articolo 9 della Costituzione, che è bene comune. Un campo agricolo che ha mille anni è biodiversità, un campo da baseball ha zero biodiversità. Non dobbiamo farci trarre in inganno dalla parola campo. Un campo non vale l’altro.

Il professor Paolo Pileri, ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano, evidenzia quella che è prima di tutto una tragedia culturale: le scelte urbanistiche sono indirizzate da decisori politici ignoranti perché

non sanno gli effetti che producono le loro decisioni perché ignorano l’essenza delle risorse ambientali, il loro funzionamento e i benefici che generano o gli effetti negativi che producono. È grave quel che stanno facendo anche perché non colgono l’occasione per impostare una spiegazione ai cittadini facendoli crescere, ecologicamente parlando. È grave perché alla fine si specula sulla debolezza delle persone e si usa l’ignoranza della gente per continuare a non fare cose migliori.

Dobbiamo fare di più e meglio. Noi dobbiamo trasformare le aree dismesse in ospedali se di ospedali abbiamo bisogno. Dobbiamo far crescere campi da calcio e scuole sulle parti abbandonate delle nostre città. Questa è l’unica competizione che dobbiamo innescare. Qui deve lavorare la politica e per farlo deve capire, imparare, appassionarsi. So bene che è dura, che non si è mai fatto e che gli strumenti giuridici sono spuntati, ma so anche che se i politici non ne hanno voglia possono tornare a fare altro.

Il destino del campo del Gaggiolo dipende da noi. Oggi. La variante al PGT in discussione in questi giorni che vuole trasformarlo in un campo da baseball va respinta. E va respinta la narrazione mistificante per cui il campo da baseball farebbe “il bene dei nostri figli”, riducendo così il campo agricolo a merce di scambio, laddove è invece un bene comune, paesaggio che è parte dell’identità collettiva e della memoria storica della nostra comunità.

Un grazie di cuore a Paolo Pileri per le sue parole e a quanti vorranno difendere e conservare il campo del Gaggiolo. La vostra testimonianza è preziosa, lasciateci un selfie davanti al nostro striscione lungo il Naviglio della Martesana.

Vi invitiamo a leggere l’intero articolo di Paolo Pilieri Quando un campo da baseball fa male al suolo. E non tutti lo capiscono pubblicato su Altraeconomia.

Pedalando a Cernusco

La foto qui sopra mostra lo striscione che, alla vigilia della seconda conferenza di VAS [prevista per il 30 settembre, poi nuovamente rimandata al 22 ottobre], abbiamo esposto lungo il Naviglio, in corrispondenza del prato che sarà trasformato in campo da baseball, secondo le intenzioni della nostra amministrazione cernuschese.

Non sappiamo esattamente quante persone si siano fermate, mentre percorrevano la ciclabile lungo Naviglio, per leggere la nostra segnalazione. Certamente qualcuno l’ha fatto e tra questi Paolo Pileri, professore di Pianificazione e Progettazione urbanistica presso il politecnico di Milano, nonchè studioso e appassionato difensore dell’ambiente, in particolare per i temi legati al consumo di suolo. Conosciamo anche la sua passione per la bici, al punto che è tra i promotori della ciclabile che, lungo il fiume Po, dovrebbe congiungere Torino con Venezia

Il prof. Pileri, che avevamo conosciuto nel 2015 ad una nostra conferenza organizzata per fermare l’ampliamento del Centro Commerciale Carosello e difendere il Parco degli Aironi, ha voluto lasciarci un suo messaggio di incoraggiamento e di condivisione, che riportiamo qui sotto.

Il suo messaggio ci ha fatto molto piacere, perchè ci conferma che siamo sulla strada giusta e ci incoraggia a perseverare nel nostro impegno civile e concreto a difesa dell’ambiente e dei beni comuni.

A tutti i nostri sostenitori, a chi legge questo post e lo condivide, chiediamo di inviarci un selfie fatto davanti allo striscione (che è ancora al suo posto). Li pubblicheremo sulla nostra pagina fb, per dare maggior forza alla nostra richiesta: un ripensamento della variante al PGT da parte dell’Amministrazione comunale ed un gesto di responsabilità nei confronti delle generazioni future, cancellando l’ampliamento del centro sportivo e conservando intatto il corridoio ecologico che passa proprio da questi campi. O dobbiamo aspettare politici migliori?

Grazie al professor Pileri e grazie a tutti!


Questo il messaggio ricevuto:

Da: PAOLO PILERI 
Oggetto: Bravi
Corpo del messaggio:
Buongiorno
ho visto lo striscione lungo la Martesana che interroga e informa i cittadini sull’inappropriata scelta del comune o di un privato di consentire la distruzione di un suolo agrario per farci un campo da baseball.
Bravi a comunicare così.
Bravi a ricordare che ogni filo d’erba fa parte del grande bene comune di cui dovremmo occuparci.
Molti diranno che un campo da baseball non fa male a nessuno e invece non è così. Non è più così. Il presente che stiamo vivendo è un presente nel quale siamo dentro un guasto climatico che è esattamente il risultato di milioni di scelte urbanistiche apparentemente innocue legittime e necessarie ma che invece ci hanno tolto il fiato.
Il baseball è bello e lo sport è importantissimo. Nessuno nega questo. Ma oggi la sfida è trovare il modo di fare un nuovo campo da baseball senza torcere un solo filo d’erba. Se c’è la possibilità va fatto in ogni modo. Possibile che in Cernusco non vi sia un’area dismessa….un parcheggio di troppo…un piazzale abbandonato da desigillare per farne un campo da baseball? Questa è la cosa da fare e da spiegare. Questo è fare politica per la sostenibilità oggi. Il resto rimane a libro paga della comodità, del danaro, del non capire, della pigrizia a non innovare.
Eppure i politici della Martesana dovrebbero ricordare l’esondazione del naviglio nell’aprile 2009….o l’hanno dimenticata? Ecco ricordiamogli allora che se le acque della Martesana si sversano su un campo permeabile questo assorbe quelle acque e il danno si minimizza. Se invece le stesse acque esondano su un campo di baseball non saranno assorbite allo stesso modo, se ne andranno in giro e faranno molti danni. Non andiamo poi a piangere dallo Stato o non imprechiamo contro la natura cattiva….perché sono queste scelte urbanistiche a essere miopi ed enormemente inopportune oggi, era dell’antropocene ovvero epoca nel mezzo di una tempesta climatica.
Abbiamo bisogno di una politica migliore e di politici migliori. Bravi voi a far notare queste cose.
Paolo Pileri

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