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La variante del PGT in pillole

Se volete scoprire cosa accadrà nelle zone di Cernusco evidenziate, seguiteci.
Vi racconteremo cosa prevede la variante parziale del Piano di Governo del Territorio.
Qui trovate la mappa che evidenzia dove sono localizzate le aree oggetto di modifica.

Le aree in grigio sono il tessuto urbano consolidato, in bianco le superfici libere.

Secondo il documento di scoping (2019) la superficie antropizzata risulta pari al 61,42%  (secondo la classificazione DUSAF relativa all’uso del suolo prodotta dalla regione Lombardia e questo valore si riferisce al 2015).

L’unico dato pubblico disponibile per una comparazione si trova nelle valutazioni sul PGT della provincia di Milano ed è del 2012.

 

Secondo tale bilancio nel 2012 k’indice di consumo di suolo per Cernusco era del 60,76% (DUSAF), ma arrivava al 67,42% con il PGT.

Dunque le analisi di corredo alla variante parziale del PGT utilizzano dati fermi al 2015 e quindi fotografano una situazione già superato ormai da cinque anni in relazione all’indice di consumo di suolo e non presentano il monitoraggio di tale parametro come avrebbe richiesto il Rapporto Ambientale che accompagna il PGT.

Non sarà così possibile valutare se le modifiche proposte dalla variante di piano rientrano o meno in obiettivi di consumo di suolo prefissati dall’amministrazione.

 

La stagione delle potature


La stagione delle potature in corso a Cernusco, un evento – secondo il sindaco – da immortalare sulla sua pagina social in cui sottolinea come gli alberi del viale siano stati riallineati perché il loro profilo invadeva la carreggiata.

Premesso che la manutenzione del verde dovrebbe essere un’attività volta a tutelare e conservare il patrimonio di una città durante tutto l’anno, proprio sulle potature del patrimonio arboreo a Cernusco  vediamo in continuazione tagli indiscriminati che lasciano moncherini tristissimi senza che venga fornita alcuna spiegazione ai cittadini sulle ragioni di tali tagli (abbiamo inviato come Bene Comune Cernusco una richiesta di informazioni su chi gestisse le potature e sulla mappatura delle piante soggette a taglio rimasta senza risposta).

Così il riallineamento del filare eseguito in via Anguissola e che ha dato il pretesto al sindaco per mettere in mostra l’efficienza della macchina amministrativa, in realtà si dimostra un’operazione che non sta dalla parte degli alberi: i rami sono stati potati modellandoli in larghezza ed altezza, senza seguire quella che è la sagoma naturale dell’albero e senza la tecnica della potatura di ritorno. Ci si chiede come mai siano stati piantati lungo il viale se poi sono considerati un elemento di disturbo di ciclisti ed automobilisti. E probabilmente l’errore sta all’origine, rispetto alla scelta di un’essenza che sviluppa la sua chioma in tutto il volume del tronco e non solo sulla sua parte più alta.

Un destino ancora più triste lo hanno subito altri alberi a Cernusco,  foto di M. Agrati

Anche questi riallineati?

 

 

Variante PGT: il ruolo chiave della partecipazione

Così recita il documento di scoping della VAS per la variante del PGT di Cernusco. Ma quale partecipazione, se il documento è stato messo a disposizione il 15 novembre, un venerdì, e la conferenza è stata convocata per lunedì 18 alle 14.00?

Il risultato è stato una seduta praticamente deserta, ove la maggior parte degli attori invitati non ha partecipato per l’impossibilità di presentare osservazioni in tempo utile.

La seduta ha quindi inizio senza neppure la verifica dei presenti da parte del relatore che si è presentato solo dopo la nostra precisa richiesta (dr. Gianluca Vicini, estensore del documento di scoping) e che ha giustificato il poco preavviso con il fatto che si trattasse di argomenti ben noti e conosciuti da parte di tutti. In realtà la conoscenza del PGT e delle sue varianti non è un dato scontato e la possibilità di inviare contributi non può essere una frase retorica buttata lì, ma deve essere collegata ad azioni concrete.

Nel merito il documento, di natura solo compilativa e basato sui soli dati pubblicati, si presenta subito incompleto perché non riporta tutte le varianti nel quadro sinottico riepilogativo del PGT.


Pertanto viene meno la sua funzione di sintesi riepilogativa.

Nello stesso tempo l’oggetto della variante parziale del PGT:


anche in questo passaggio rimane indefinito, poiché non sono state esplicitate le aree oggetto di variante, così come era accaduto nell’incontro pubblico di presentazione svoltosi il 19 settembre che avrebbe dovuto essere l’occasione per presentare al pubblico tutti i dettagli della variante, ma risoltasi in una generica illustrazione priva delle indicazioni relative alle aree in variante e che, per stessa ammissione dell’assessore all’Urbanistica Paolo Della Cagnoletta, non chiariva nulla. Anche l’assenza del tecnico comunale andato via dopo pochi minuti non ha certo contribuito.  Dunque, di che cosa parliamo?

Il documento di scoping non aiuta, anzi confonde le idee perché a pag. 12 riporta:

Chiediamo a quale campo della modificazione ci si riferisca e viene fuori che è la frase soprariportata è un “refuso“.

Magari rileggere con attenzione gli elaborati tecnici eviterebbe figuracce di questo tipo.

 

#Gabbanaleaks: le cave cessate ed il PLIS Est delle Cave

La cava Gabbana, su cui è in corso un contestato intervento di interramento del lago di cui abbiamo parlato qui, è una delle dodici cave dismesse presenti nel PLIS Est delle Cave (sul territorio di Vimodrone ce ne sono altre tre), secondo quanto si rileva dal catasto regionale delle cave cessate:

La cava Gabbana ha il codice R/441/g/MI, evidenziata in giallo nella tabella.
Nessuna delle cave dell’elenco è stata inserita nel Piano Pluriennale degli Interventi del PLIS Est delle Cave in fase di approvazione da parte dei consigli comunali dei comuni del Parco in questi giorni, né fra gli ambiti di recupero del nuovo Piano Cave di Città Metropolitana approvato lo scorso marzo.
Eppure qualcosa si poteva fare, ma nessuno dei comuni del PLIS (Brugherio fa parte della provincia di Monza e Brianza e quindi non rientra in questo piano cave) né lo stesso PLIS ha inviato alcuna osservazione, né partecipato alla conferenza dei servizi, con la seguente giustificazione:

la competenza sulle attività di escavazione, è di Città Metropolitana e di Regione Lombardia. Con la vigente normativa, i Comuni se pur intervenendo nel processo di formazione del Piano Cave non possono che adeguarsi a decisioni di Enti sovraordinati.

Eppure il comune di Cusago ha ottenuto che la cava ATEg33-C2  posta sul suo territorio venisse stralciata dal piano, proprio grazie alle osservazioni presentate ed alla strenua difesa fatta in conferenza dei servizi dalla sindaca e dal Parco Agricolo Sud Milano che hanno difeso le ragioni di tutela ambientale dell’area rispetto alle esigenze degli operatori del settore estrattivo.  Quindi anche i comuni ed il PLIS Est delle Cave avrebbero potuto richiedere stralci e/o inserimenti in ambiti di recupero, ma non lo hanno fatto.

Per quanto riguarda il nuovo PPI del PLIS Est delle cave abbiamo già segnalato la sua inadeguatezza, non solo nel nostro Memorandum Propositivo abbiamo segnalato la necessità di una progettualità sulle cave dismesse:

Pertanto occorre pensare al parco Increa, al parco degli Aironi, ma pure alle cave dismesse e da riconvertire ad uso pubblico come le ex cave Gaggiolo e dei Pescatori, come ambiti all’interno dei quali si trovano zone che possono ospitare attività ricreative e sportive leggere insieme ad aree di rilevanza ed interesse naturalistico ed ambientale che devono invece essere oggetto di protezione da forme di disturbo.

La cava Gabbana ed il suo lago da interrare costituiscono un pericoloso precedente:

    • d’ora in avanti basterà un permesso di costruire per interrare le cave cessate?
    • il destino dei laghi di cava sarà l’interramento mascherato da rinaturalizzazione?
    • oppure sarà bene pianificare per questi ambiti una visione complessiva che coinvolga tutti i comuni con progetti che ne analizzino prima le caratteristiche ambientali, ecosistemiche e paesaggistiche?

Giriamo queste domande ai sindaci componenti il comitato di gestione, al Presidente ed al Direttore del Parco Est delle Cave che si riuniranno il prossimo 13 novembre.

Il caso Gabbana: la cava, il lago ed il progetto di interramento

1975: ricostruzione e boom economico che avevano caratterizzato gli anni post bellici con l’intenso sviluppo di costruzioni ed infrastrutture sono ormai finiti, ma sul territorio ne rimangono tracce profonde.
L’immagine del 1975 evidenzia una porzione della pianura padana ai margini orientali di Milano fra i comuni di Vimodrone e Cernusco sul Naviglio ove le cave di sabbie e ghiaie sono diventate elementi tipici del paesaggio: un’attività estrattiva forsennata e senza regole che porta via milioni di metri cubi di materiale lasciando ferite profonde. I fronti di cava perfettamente verticali coincidono con i limiti di proprietà, si scava così in profondità da arrivare sino allo sfruttamento dell’ultimo metro utile, come si vede chiaramente nell’immagine per la cava sulla sinistra  che risulta già abbandonata dopo il suo completo sfruttamento ed esaurimento. Le norme regolative dell’attività di cava che impongono metodi estrattivi meno rapaci ed il recupero delle aree post coltivazione arriveranno solo alla fine degli anni 80, così la cava ormai cessata di Vimodrone rimane un lago con sponde altissime il cui destino dipenderà dai proprietari dell’area.

 

Per molti anni sarà un’area dove si svolgevano le attività ricreative del circolo del dopolavoro della Cariplo che ha sede nella contigua cascina Gabbana, un complesso architettonico del XVIII secolo vincolato per le sue emergenze e peculiarità architettoniche ora in stato di abbandono, e che comunque caratterizza la zona cosicché per estensione finisce per identificare anche la ex cava ed il lago di risulta.

 

 

Nel frattempo però vegetazione e fauna si sono sviluppate costituendo un vero e proprio ecosistema, sia pur con i limiti di evoluzione e complessità propri di un ambito artificiale.

Lo scorso anno il nuovo proprietario fa richiesta al comune di Vimodrone di un permesso di costruire per un intervento di “riqualificazione ambientale, mediante riempimento del bacino d’acqua esistente con terra e roccia, installazione temporanea: di pesa a ponte interrata per automezzi, box adibito ufficio/pesatura e basamento per pulizia gomme automezzi”.
Il permesso viene concesso il 31 luglio 2018, la data ufficiale di inizio lavori è di maggio 2019, a luglio alcuni abitanti del palazzo che si affaccia sul lago si accorgono del cantiere a causa del taglio di diversi alberi e della realizzazione della strada ma, solo dopo l’emergere di polemiche sui social, l’amministrazione di Vimodrone puntualizza che l’autorizzazione riguarda “il riempimento della Cava con materiali puliti e il ritorno alla sua naturalità”. Il comunicato stampa non tranquilla affatto i condomini che si attivano per cercare di capire meglio cosa preveda il progetto, anche perché l’area ricade all’interno del Parco Locale di interesse Sovracomunale Est delle Cave.
Proprio in relazione al lavoro che come Bene Comune Cernusco abbiamo fatto sul PLIS siamo stati contattati dagli abitanti di Vimodrone, nel frattempo costituitisi in comitato, ed abbiamo fornito il nostro aiuto nella convinzione che paesaggio, l’aria, l’acqua non stanno nella disponibilità del proprietario dell’area o dell’amministrazione comunale ma, in quanto beni comuni, appartengono alla comunità.
E così viene fuori che i lavori sono iniziati senza gran parte della documentazione richiesta: non ci sono quindi elementi che attestino l’origine e la tipologia dei materiali di riempimento, né il piano di intervento che specifichi le modalità di salvaguardia della fauna presente nell’area oggetto dell’intervento.
Una relazione (datata luglio 2019) compare solo il 1 ottobre, è quindi posteriore all’inizio dei lavori, riguarda solo la fauna ittica del lago e delinea le modalità per interventi di cattura selettiva, ma evidenzia pure le numerose problematiche relative al trasferimento, soprattutto in relazione alla presenza delle numerose specie alloctone.
Nulla però si dice della sorte che toccherà a tutte le altre specie che comunque popolano o gravitano nell’area del lago che ormai è diventato un micro-ecosistema, dagli anfibi ai rettili, agli insetti, all’avifauna legata all’ambiente acquatico e non sino ai mammiferi, specie su cui non sono stati effettuati rilevamenti, né è previsto alcun monitoraggio.

Il riempimento del lago profondo 30 metri con 600.000 mc di materiale comporterà quindi la distruzione dell’ecosistema presente, oltre che una modifica sostanziale del contesto paesaggistico caratterizzato da più di cinquanta anni dalla presenza del lago di cava, elemento che viene evidenziato in tutti gli strumenti urbanistici (dal PGT, al PLIS, al PCTP).
Eppure viene spacciato come intervento di rinaturalizzazione.

600.000 mc in due anni: chissà se l’amministrazione ha fatto il conto di quanti camion al giorno comporti l’interramento, le sue ricadute sul traffico locale e sull’incremento delle emissioni in atmosfera. Un altro elemento legato alle esternalità di cui non si trova traccia nel procedimento autorizzativo.

Così come non si trova alcun riscontro rispetto ai problemi legati al fatto che il lago si trovi in una zona di ricarica dell’acquifero e ad elevata vulnerabilità, elementi che dovrebbero suggerire un adeguato piano di monitoraggio della falda ed un’analisi del potenziale rischio di inquinamento connesso all’immissione nell’acqua di materiali soggetti ad un controllo solo visivo in cantiere.

Nel progetto finale il lago non c’è più, al suo posto ci saranno gli alberi. Rinaturalizzato, dunque.

E qui ci fermiamo per il momento, perché c’è anche un grave problema di mistificazione del linguaggio, che distorce il senso delle parole sino a renderle irriconoscibili.
Alla prossima puntata, perché intanto gli amici del comitato di Vimodrone hanno ottenuto per il prossimo 28 ottobre un incontro con l’amministrazione.

Vi teniamo aggiornati.

a cura di Jasmine La Morgia

La denuncia dei paradisi fiscali europei e le vicende locali

02/07/2019 Roma,Partecipazione alla presentazione della relazione annuale della AGCM  nella foto il presidente Roberto Rustichelli

Nella relazione annuale presentata lo scorso 2 luglio il neo presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Roberto Rustichelli ha denunciato senza mezzi termini  le “asimmetrie e distorsioni competitive” del mercato europeo, ove alcuni paesi sono diventi dei veri e propri paradisi fiscali:

La concorrenza fiscale posta in essere da alcuni Stati quali,ad esempio, l’Olanda, l’Irlanda, il Lussemburgo e il Regno Unito è utilizzata, come rilevato dalla stessa Commissione europea, dalle imprese multinazionali per porre in essere forme di pianificazione fiscale aggressiva…

… Gli investimenti internazionali si adattano alla geografia della concorrenza fiscale: l’Italia attira investimenti esteri diretti pari al 19% del PIL; il Lussemburgo pari a oltre il 5.760%, l’Olanda al 535% e l’Irlanda al 311%. Valori così elevati non trovano spiegazione nei fondamentali economici di tali Paesi, ma sono in larga parte riconducibili alla presenza di società veicolo.

Ma se alcuni Paesi ci guadagnano, è l’Unione europea a perderci, visto che i gruppi multinazionali reagiscono alla concorrenza fiscale localizzando le loro imprese più profittevoli proprio nei Paesi europei.

A questo proposito, l’Italia è certamente uno dei Paesi più penalizzati: si pensi, ad esempio, al rilevante danno economico per le entrate dello Stato causato dal recente trasferimento della sede fiscale a Londra di quella che era la principale azienda automobilistica italiana, nonché dal trasferimento della sede legale e fiscale in Olanda della società sua controllante.

I valori in gioco sono di estremo rilievo: la concorrenza fiscale genera esternalità negative che costano a livello globale 500 miliardi di dollari l’anno, con un danno per l’Italia stimato tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari l’anno.

Una concorrenza fiscale di cui, di fatto, beneficiano le più astute multinazionali pone le imprese italiane, soprattutto quelle piccole e medie, ma anche le grandi società la cui proprietà mantiene comportamenti fiscali lodevolmente etici nei confronti del nostro Paese, in una situazione di grave svantaggio competitivo.

Inoltre, la riduzione degli introiti dovuta agli egoismi di pochi impedisce di abbassare le tasse alle imprese e ai cittadini, anzi spesso impone ai governi che la subiscono politiche fiscali più severe.

E’ dunque chiara la denuncia del presidente dell’AGMC: le società che hanno sede fiscale in paradisi fiscali europei (Olanda compresa) fanno concorrenza sleale a quelle società che mantengono comportamenti fiscalmente etici, sottraggono risorse agli introiti del nostro paese e quindi a tutti noi. Occorre quindi porre fine alle distorsioni del mercato attualmente esistenti, assicurando che l’imposta sia versata nel luogo in cui gli utili ed il valore sono generati.

E poiché dovrebbero essere le istituzioni per prime a mettere in atto comportamenti etici e forme dissuasive di quelli sleali, ricordiamo di aver sempre segnalato come sbagliata la posizione delle amministrazioni di Carugate e Cernusco che hanno intrapreso la strada di un accordo  per l’ampliamento del centro commerciale Carosello con una società che ha la sede fiscale in Olanda.

Le parole di Rustichelli oggi sanciscono che avevamo ragione: ci sono costi esterni, concorrenza fiscale sleale e distorsioni del mercato che non sono stati affatto considerato dell’accordo e che invece pesano.

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