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Trump e COP 29: il clima è a rischio?

Inizia oggi, 11 Novembre 2024, la COP29, il vertice sul clima che si terrà a novembre 2024 a Baku (Azerbaigian) e già si percepisce una certa inquietudine tra i partecipanti. Questo summit, cruciale per monitorare i progressi verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e per definire nuove strategie climatiche, si inserisce in un contesto politico e sociale estremamente delicato. La recente rielezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti ha suscitato timori profondi tra i leader globali e la comunità scientifica, oltre che presso tutto il mondo ambientalista, preoccupati che il ritorno di Trump possa rallentare o addirittura invertire i passi avanti compiuti nella lotta contro la crisi climatica.

La COP29: un appuntamento decisivo per il pianeta

La Conferenza delle Parti (COP) rappresenta ogni anno il più importante momento di confronto e negoziazione per affrontare il riscaldamento globale. Durante la COP29 (qui si può trovare l’agenda completa della Conferenza), i delegati provenienti da quasi 200 nazioni discuteranno strategie cruciali come la riduzione delle emissioni di gas serra, l’aumento del sostegno economico ai Paesi in via di sviluppo e il rafforzamento degli impegni nazionali per limitare il riscaldamento entro il limite di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Tuttavia, l’incertezza sul ruolo che gli Stati Uniti assumeranno in questo contesto rischia di complicare i negoziati. La presenza di Trump alla Casa Bianca alimenta il timore di un’America nuovamente isolata e contraria a politiche climatiche ambiziose, in netto contrasto con la spinta internazionale verso la sostenibilità.

Il primo mandato di Donald Trump è stato caratterizzato da un insieme di deregolamentazioni e scelte energetiche che hanno sollevato profonda preoccupazione tra gli ambientalisti e la comunità scientifica. Uno dei provvedimenti più discussi è stato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi nel 2017, seguito da una serie di iniziative volte a ridurre o eliminare le regolamentazioni ambientali. Tra queste, l’abrogazione del Clean Power Plan del 2015, voluto dall’amministrazione Obama, che puntava a limitare le emissioni di CO₂ dalle centrali elettriche. Trump ha sostituito questo piano con una regolamentazione più permissiva, che concedeva maggiore libertà all’industria del carbone e agli impianti a combustibili fossili di continuare le loro attività senza adeguarsi a standard più rigidi.

Inoltre, Trump ha ordinato l’eliminazione di regole che limitavano le emissioni di metano, un gas serra particolarmente potente, consentendo così alle aziende del settore energetico di ridurre i costi operativi ma aumentando l’impatto climatico. Ha anche allentato le restrizioni sull’inquinamento dell’acqua potabile attraverso la revisione della Waters of the United States Rule, permettendo a molte aziende di scaricare sostanze chimiche in corsi d’acqua senza dover rispettare controlli rigorosi. Queste scelte hanno avuto un impatto profondo sulla salute pubblica e sull’ambiente, compromettendo la qualità dell’aria e dell’acqua in diverse regioni.

Un altro aspetto cruciale dell’amministrazione Trump è stato il sostegno massiccio al fracking, o fratturazione idraulica. Questa tecnica, usata per estrarre petrolio e gas naturale da rocce di scisto, comporta l’iniezione di grandi quantità di acqua, sabbia e sostanze chimiche nel sottosuolo per fratturare le rocce e liberare idrocarburi. Sebbene il fracking abbia contribuito a ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni di petrolio, ha causato gravi problemi ambientali e sanitari. Le sostanze chimiche utilizzate nel fracking possono contaminare le falde acquifere, mettendo a rischio le risorse idriche locali, mentre le emissioni di metano e altre sostanze tossiche aumentano i rischi per la salute e contribuiscono al riscaldamento globale.

Sotto l’amministrazione Trump, il fracking è stato incentivato sia attraverso sussidi fiscali, sia con l’apertura di nuove aree di esplorazione su terreni pubblici e protetti. In particolare, l’Alaska e parte dell’Artico sono stati resi disponibili per trivellazioni, suscitando proteste da parte delle comunità indigene e degli ambientalisti, preoccupati per la distruzione di ecosistemi preziosi e per i danni permanenti che il fracking può provocare al paesaggio e alla biodiversità.

Gli Stati Uniti sono il secondo maggiore emettitore di CO₂ a livello globale, e ogni loro scelta in campo ambientale influenza le dinamiche mondiali. Un eventuale disimpegno americano non solo comprometterebbe il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, ma rischierebbe di demotivare altri Paesi. L’atteggiamento statunitense influenza spesso le politiche di grandi emettitori come Cina, India e Russia, con il rischio che il rallentamento degli impegni americani possa rappresentare una giustificazione per altri Paesi che hanno mostrato titubanza nel compiere sacrifici economici per la causa climatica. Questo scenario potrebbe indebolire la spinta verso una transizione ecologica globale, che richiede invece il massimo della cooperazione e dell’impegno internazionale.

La pressione delle organizzazioni ambientaliste e della società civile

Di fronte a questa prospettiva, molte organizzazioni ambientaliste e gruppi della società civile stanno intensificando la pressione su governi e istituzioni internazionali affinché non si facciano scoraggiare. L’opinione pubblica globale sta aumentando il proprio livello di consapevolezza e mobilitazione, spingendo i propri governi a mantenere impegni stringenti e ambiziosi. Gli attivisti chiedono che, anche in presenza di un atteggiamento scettico degli Stati Uniti, gli altri Paesi si uniscano per creare una “coalizione del clima” in grado di stabilire standard elevati e vincolanti.

Le Nazioni Unite e altri enti sovranazionali giocano un ruolo chiave in questa dinamica, ricordando ai partecipanti della COP29 che l’umanità non ha più tempo da perdere. L’aumento delle temperature globali, l’innalzamento del livello del mare e il susseguirsi di eventi climatici estremi dimostrano chiaramente che non sono accettabili compromessi su una questione così urgente. Alcuni analisti ritengono che la COP29 potrebbe essere l’occasione per gli altri Paesi di riaffermare la propria leadership morale e ambientale, mostrando che il mondo può progredire anche senza il supporto degli Stati Uniti.

La spinta dell’Europa e delle nazioni vulnerabili

L’Unione Europea, insieme a molti Paesi insulari e nazioni particolarmente vulnerabili agli effetti della crisi climatica, si è finora impegnata a mantenere alta la pressione per un’azione concreta durante le precedenti COP. Anche in Europa, però, si iniziano a sentire voci critiche nei confronti di progetti di contenimento delle emissioni clima-alteranti contenute nel Green Deal. Alcuni nuovi leader europei (e noi ne sappiamo qualcosa), hanno ribadito la propria volontà di ridiscutere gli obiettivi climatici, mettendo in discussione l’attuale progetto di rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Ora, spalleggiati dagli Stati Uniti, potrebbero sentirsi ancor più sostenuti nel rinunciare ad una politica decisamente ecologista, adducendo la scusa che gli investimenti e le politiche europee necessitano di totale supporto internazionale per ottenere un impatto significativo su scala globale, supporto che ora sembra venir meno.

Conclusioni: un bivio decisivo per il futuro

La COP29 si presenta quindi come un vero e proprio banco di prova per la comunità internazionale. In un momento in cui il pianeta si trova di fronte a sfide climatiche senza precedenti, l’esigenza di una cooperazione globale e di impegni ambiziosi è più forte che mai. La possibile ostilità degli Stati Uniti sotto la guida di Trump rappresenta una minaccia concreta, ma molti governi e organizzazioni sono determinati a proseguire la lotta per un futuro sostenibile, facendo appello alla responsabilità di ciascun Paese e soprattutto al sostegno della società civile, che è indispensabile e determinante.

Se il mondo riuscirà a dimostrare unità e decisione, la COP29 potrebbe rappresentare un punto di svolta. Ma senza un impegno serio da parte dei maggiori inquinatori, il rischio è che l’umanità perda una delle ultime opportunità per contrastare efficacemente la crisi climatica. La COP29 sarà quindi una prova di volontà e di visione: o si aprirà una nuova era di impegno collettivo per il clima, o si confermeranno le difficoltà di un sistema ancora troppo frammentato per affrontare sfide globali con una risposta unitaria.

Il Garante dimezzato

Arriva nella notte di mercoledì 31 gennaio, dopo un iter travagliato ed una vivace discussione in consiglio comunale, l’approvazione del Garante per la tutela del Suolo, del Verde, dell’Ambiente.

La proposta – inizialmente era il ‘Garante degli alberi’ – era stata presentata due anni fa in campagna elettorale come una figura tecnica che avrebbe dovuto introdurre forme di regia unitarie e condivise nella piantumazione degli alberi. Ci sono però voluti ventidue mesi per arrivare in consiglio comunale dove, dopo molte revisioni e ripensamenti, è diventato nella versione finale un ‘comitato’ di tre tecnici, nominati uno dal sindaco, uno dalla maggioranza ed uno dall’opposizione. Dunque non propriamente indipendenti, visto che le loro selezione non risponde soltanto a criteri di formazione e merito, ma anche alla connotazione di parte politica.

Insieme al comitato dei garanti viene istituito anche un comitato di cittadini, con cui collabora nelle funzioni di monitoraggio e di promozione delle iniziative che riguardano suolo, ambiente e territorio, sia dall’alto per quelle che arrivano dall’amministrazione che dal basso per quelle proposte dai cittadini.

La discussione in consiglio, grazie ai rilievi presentati dai consiglieri, ha fatto emergere le numerose contraddizioni del testo del regolamento istitutivo del Garante e del comitato dei cittadini, dagli errori sintattici a quelli di contesto: il testo è stato quasi interamente ripreso dal regolamento del Garante del Verde di Milano, con qualche variante legata alle modalità di nomina dei membri del comitato ed all’introduzione del comitato dei cittadini. In particolare, i rilievi hanno messo in luce come non sia un “organo tecnico” da inserire all’interno degli organi collegiali con funzioni indispensabili ai fini istituzionali, e quindi l’esecutivo si vede costretto ad emendare il testo declassandolo ad “istituto di partecipazione”, così come previsto dall’articolo 43 dello Statuto comunale che prevede appunto “consulte e comitati di organismi di partecipazione all’attività pubblica locale, mediante la partecipazione della popolazione alle attività finalizzate allo sviluppo civile, sociale ed economico della comunità”. 

L’istituzione del Garante del Suolo, del Verde, dell’Ambiente perde dunque la sua portata innovativa iniziale come organo tecnico indipendente di monitoraggio, vigilanza, controllo e proposta rispetto all’operato dell’amministrazione per rientrare nella categoria degli istituti di partecipazione privi di capacità di incidenza.

Ci saranno così due comitati, uno per i Garanti, costituito da tre persone, come già ricordato di nomina politica, anche se le candidature devono rispondere a vaghi requisiti tecnici, ed un comitato di cittadini(aperto anche ai sedicenni), che arrivano dagli iscritti ad un bando reperibile sul portale del Comune. Il comitato di cittadini avrà anche un coordinatore ed un vice-coordinatore.

La nostra posizione su consulte e comitati è nota sin dalla loro istituzione: rappresentano istituti di partecipazione vetusti, anzi spesso sono forme di mistificazione della partecipazione dei cittadini utilizzate per inglobare la cittadinanza in forme che non garantiscono alcuna incidenza nell’ambito deliberativo. Per questa ragione avevamo proposto l’istituzione del Tavolo del Clima, vale a dire un ambito ove si instaura una dialettica fra le diverse componenti, da quella istituzionale, alle forme semplici o strutturate della cittadinanza, a quella scientifica, dove i dati ambientali vengono monitorati, analizzati ed elaborati in strategie di intervento condivise.

Purtroppo non vediamo alcuna portata innovativa nell’istituzione del Garante del Suolo, del Verde, dell’Ambiente, tantomeno in quella del Comitato dei Cittadini. Un’occasione persa, un’altra, intanto le emergenze ambientali e climatiche sono sempre più urgenti.

Pannelli solari e consumo di suolo

Non si è ancora spenta l’eco della riduzione dell’area di rispetto del pozzo per l’acqua potabile di via Firenze (da 200 a 60 metri) che già si discute (con scarsi risultati, visto che probabilmente è già tutto deciso) di un nuovo intervento, richiesto da un privato, per l’installazione di circa 3000 pannelli solari su di un terreno agricolo, di proprietà del richiedente.

Si dirà: quindi? dov’è la brutta notizia? non è bello, e giusto, e positivo installare delle sorgenti di energia rinnovabile?
Certo che lo è, ma non quando il nuovo impianto va ad occupare un terreno agricolo, quindi un terreno che, oltre a poter produrre cibo per gli umani, o magari per gli animali, costituisce anche un serbatoio di naturalità, di biodiversità, di salvaguardia di forme di vita legate alla fertilità del terreno ed al concetto di “suolo naturale” che è incompatibile con l’installazione di una “copertura fotovoltaica” (si veda a tal proposito lo studio: Soil properties changes… dell’Università della Tuscia, finanziato dal Ministero dell’Educazione, Università e Ricerca, 2022).

L’insediamento di un tale impianto, inoltre, andrebbe ad erodere ulteriormente la quantità di “suolo” libero, già compromesso dalla continua edificazione di insediamenti antropici di vario tipo. Secondo ISPRA, infatti, la realizzazione di un impianto fotovoltaico su terreno agricolo costituisce a tutti gli effetti un consumo di suolo, esattamente come un capannone, un parcheggio, una strada, un condominio. ISPRA, giusto per ricordarlo, è la massima autorità in tema di protezione e ricerca ambientale, ente giuridico di diritto pubblico, istituito nel 2008 per supportare ed a servizio del Ministero dell’Ambiente e la Sicurezza Energetica (MASE). E’ l’ente che misura in maniera ufficiale, ogni anno, il consumo di suolo comune per comune, continuando a denunciare, inascoltato, la gravità del fenomeno, in Italia, ma non solo.

Alcune considerazioni finali, che aiutano a capire meglio la questione del nuovo impianto fotovoltaico.

  • Il privato che sta chiedendo l’autorizzazione per installare i pannelli è Eurocommercial, in sostanza il centro commerciale Carosello. L’area interessata è l’unica porzione della enorme proprietà Eurocommercial che ricade nel territorio di Cernusco. Quindi, coprire il terreno agricolo, sebbene di proprietà, non è l’unica alternativa, visto che il centro commerciale ha superfici coperte e parcheggi che potrebbero essere utilizzati come alternativa al terreno agricolo.
  • Il fatto che nei conteggi ufficiali del consumo di suolo (come definito da ISPRA) rientrino anche le aree agricole destinate all’installazione di pannelli solari, rende incompatibile questo intervento con un Piano di Governo del Territorio (PGT) che, almeno nelle promesse della nostra amministrazione (a pagina 4), si vuole realizzare rendendo attuale il vincolo di “consumo di suolo zero“, che rimarrà, quindi solo una pia intenzione.
  • In ultimo, preoccupa e dispiace la lettera che una dozzina di organizzazioni “ambientaliste” ha indirizzato a ISPRA chiedendo di modificare la propria definizione di “consumo di suolo”, togliendo le aree destinate a pannelli fotovoltaici. Preoccupa perchè non vorremmo che questa posizione, assunta da tali organizzazioni, fosse una sorta di appiattimento sulle posizioni di un ambientalismo di facciata, caratterizzato da operazioni di “greenwashing” che non prendono nella dovuta considerazione le necessità di un pianeta sempre più compromesso e in difficoltà. Dispiace perchè in questa dozzina di organizzazioni compaiono nomi (WWF, Greenpeace, Legambiente) che per anni sono state la nostra più concreta speranza per un cambiamento che ci riportasse verso modelli di sviluppo rispettosi dell’ambiente e attenti alle azioni indispensabili per la sua salvaguardia. Ci associamo pertanto all’appello di Coalizione Articolo 9 per confermare piena fiducia in ISPRA, perchè continui nel suo monitoraggio attento e indipendente segnalando le criticità e suggerendo alternative per guarire questo nostro pianeta malato.

Si riaffaccia il nucleare?

L’inizio di ogni nuovo anno, solitamente, è pieno di attese e di speranza e tutti ci auguriamo che l’anno appena iniziato sia migliore del precedente.

La realtà, invece, è spesso diversa e non ci mette molto a spegnere l’ottimismo che ci pervade e ci induce a credere che si possa solo migliorare.
Questo inizio di 2022 è uno di questi casi: è datato proprio 1° Gennaio 2022 il Comunicato stampa della Commissione Europea (presieduta da Ursula Von Der Leyen) in cui si informa che la Commissione stessa ha iniziato le consultazioni con gli esperti degli Stati Membri per inserire l’uso di gas naturale e del nucleare tra le fonti di energia rinnovabili.

In sostanza, la Commissione Europea ha redatto un documento, chiamato Taxonomy Complementary Delegated Act, in cui elenca una serie di sorgenti energetiche che potranno godere dei finanziamenti privati e pubblici previsti dal piano di riconversione alla neutralità climatica, cioè alle emissioni zero-carbonio nei prossimi 30 anni. Tra queste sorgenti energetiche, la Commissione propone di inserire, sotto “chiare e stringenti condizioni”, anche il gas naturale (proveniente da sorgenti rinnovabili) e l’energia nucleare (purché gli Stati assicurino che la stessa non provochi “danni significativi all’ambiente” includendovi anche il trattamento delle scorie radioattive).

Il gruppo di esperti degli Stati Membri ha tempo fino al 12 gennaio per fornire il proprio contributo, poi la Commissione emetterà il documento finale entro il mese di gennaio, inviandolo al Consiglio Europeo (l’assemblea dei Capi di Governo dei Paesi Membri) ed al Parlamento Europeo, per essere approvato definitivamente.

Al momento, alcuni Paesi si sono già apertamente dichiarati contrari alla risoluzione (la Germania in testa, seguita da Austria, Danimarca, Portogallo e Lussemburgo), mentre altri si sono già espressi a favore (Francia, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca). La maggioranza dei Paesi membri della UE, tra cui l’Italia, non si è espressa apertamente, almeno per ora.

Il nuovo governo tedesco, composto da Socialdemocratici, Verdi e Liberali, non ha fatto sconti nell’affermare la sua contrarietà a questo grande esempio di “greenwashing europeo“: Steffi Lemke, neo Ministro dell’Ambiente (Verdi), ha affermato che “è assolutamente sbagliato includere l’energia nucleare tra le attività economiche sostenibili, perché può portare a enormi disastri ambientali, lasciandosi dietro una grande quantità di pericolose scorie radioattive; per questo non può essere considerata sostenibile“.

Tra l’altro, proprio il 31 dicembre dell’anno appena concluso, il governo tedesco ha confermato lo spegnimento di altre tre centrali nucleari, riducendo il numero di quelle ancora attive a tre, che cesseranno definitivamente la loro attività entro il 2022, proseguendo nel piano di uscita dal nucleare iniziato nel 2011 dal governo di Angela Merkel.

La stessa ministra Lemke ha però dovuto ammettere che sarà impossibile trovare una maggioranza di Stati contrari alla risoluzione, quindi la Germania preannuncia la sua astensione al piano.

I governanti italiani non hanno le idee altrettanto chiare. Non sono bastati i due referendum del 1987 e del 2011 a far capire chiaramente che il popolo italiano non vuole il nucleare. L’attuale ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, si è più volte dichiarato favorevole ad una ripresa del “nucleare pulito” (un ossimoro dove l’aggettivo ‘pulito’ sta proprio a confermare che il nucleare è, di per sé, ‘sporco’), mentre alcuni partiti populisti vagheggiano referendum propositivi a favore del ritorno al nucleare, probabilmente senza comprenderne appieno le implicazioni ed i rischi per l’ambiente.

Bene Comune Cernusco ribadisce la propria contrarietà ad ogni rivalutazione del nucleare, tanto più in chiave “green”, per gli enormi rischi che questa tecnologia, anche se rinnovata, continua a portare con sè.

Ricordiamo poi che questo comitato per l’ambiente è nato proprio dopo aver animato la campagna referendaria del 2011 per l’acqua pubblica e per l’uscita dal nucleare: sappiamo perciò come si vincono queste battaglie e siamo pronti a ricominciare, se ce ne fosse bisogno.

#cheariatira: il ‘botto’ finale

Siamo alla fine del 2021 e questa volta l’allarme lo lanciamo in anticipo: i botti di fine anno, oltre a spaventare in maniera innaturale i nostri amici animali, inquinano. In particolare, fanno impennare i livelli di polveri sottili nell’atmosfera, che, grazie anche alle sfavorevoli condizioni meteo di questi giorni, rimane irrespirabile e pericolosa per ore.

Pubblichiamo qui sotto il grafico che mostra i valori registrati prima e dopo la mezzanotte del 31 dicembre, che mostrano l’andamento della media oraria di PM2.5 e PM10, misurata in tempo reale dal nostro strumento a Cernusco sul Naviglio.

Il nostro strumento di misura di Polveri Sottili PMS5003

Purtroppo sul sito del comune non c’è traccia di eventuali ordinanze che vietino botti e petardi allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre: peccato, un’occasione persa dalla nostra Amministrazione per “pre-occuparsi” della qualità dell’aria che respiriamo. Molti altri comuni l’hanno fatto, in primis il comune di Milano che, nella pagina delle notizie, scrive:

Questo provvedimento, normato dal ‘Regolamento dell’aria‘ approvato dal Consiglio comunale, non vuole essere un banale divieto ai botti, ma vuole sensibilizzare la cittadinanza sui temi della sicurezza e della tutela della salute delle persone, degli animali e dell’ambiente“.
Così l’assessora all’Ambiente e Verde Elena Grandi, che prosegue:
L’esplosione di fuochi d’artificio e botti è particolarmente dannoso e rilascia diverse sostanze nocive in quantità massicce come potassio, stronzio, bario, magnesio, alluminio, zolfo, titanio, manganese, rame, cromo e piombo. Oltre al meteo e alle misure antismog strutturali o temporanee, anche i comportamenti individuali concorrono al miglioramento della qualità dell’aria cittadina

Evidentemente l’Amministrazione di Cernusco non ha sufficientemente a cuore la salute dei suoi cittadini, oppure le dichiarazioni di “interesse pubblico” si utilizzano solo quando “interessa davvero”.

#Cernuscotreetour: 3 – Il Cedro del Libano (Cedrus libani)

Ci vogliono ben 5 persone per abbracciare il cedro del Libano di Ronco! Il suo tronco ha una circonferenza di 6m e 80cm: un girovita di tutto rispetto, tra i più ampi di tutta la Città Metropolitana di Milano! Lo potete ammirare nel parco pubblico di Via Taverna, in tutti i suoi 27 metri di altezza. Scampato alla motosega all’inizio del secolo grazie a una raccolta firme degli abitanti della zona, vive con noi da circa 250 anni. Quello di Ronco è il più possente, ma non l’unico cedro del Libano a Cernusco: potete ammirarne altri, ad esempio, nel parco lungo il Naviglio vicino a Villa Alari (andando verso il parco dei Germani) o nel parco dell’ospedale Uboldo.

Per la loro sorprendente bellezza e maestosità, i Cedrus libani sono molto utilizzati nei parchi e nelle città e si può dire senza timore di sbagliare che ormai ce ne sono di più nei contesti urbani in giro per il mondo che nel loro luogo di origine, il Medio Oriente.

Un tempo i cedri erano diffusissimi nella zona dalla Turchia all’Iran. Le foreste libanesi erano quelle più estese, ma nel corso dei millenni furono a poco a poco depauperate: il legno dei cedri veniva utilizzato dai Fenici per la costruzione di navi e di edifici e fu impiegato per il Tempio e il trono di Re Salomone e per il Palazzo di Davide a Gerusalemme, la resina veniva invece largamente utilizzata dagli Egizi per l’imbalsamazione e per i sarcofagi. Vista la “comoda” collocazione geografica del Libano, queste conifere furono sfruttate anche da molti altri popoli, tra cui Greci, Romani, Babilonesi e Persiani. Foreste un tempo immense e rigogliose furono quasi completamente disboscate e mai più ricostituite. In Libano il cedro rimane nella bandiera nazionale e alcuni esemplari sopravvivono in un’area protetta, la Foresta dei Cedri di Dio ma oggi è la regione della catena montuosa del Tauro, in Turchia, la zona in cui l’albero è più diffuso.

In Europa il Cedrus libani è sbarcato nel 1683, in Italia il primo fu piantato nell’orto botanico di Pisa nel 1782 (l’esemplare è sopravvissuto fino al 1935).

È facilmente riconoscibile sia per l’aspetto maestoso sia per lo sviluppo tortuoso dei rami, che si innalzano verso l’alto assumendo una forma a candelabro. Gli esemplari giovani hanno una chioma piramidale mentre con l’età la pianta assume una forma a ombrello, con i rami che deviano verso una posizione orizzontale. È proprio questa forma che differenzia il Cedrus libani dal Cedro dell’Atlante e dal Cedrus deodara (o dell’Himalaya), che conservano invece la forma di cono.

Ma… attenzione! Il cedro che si trova vicino alla scuola Manzoni non ha la punta… ma è un Cedro deodara! Lo si capisce dagli aghi, più sottili e lunghi e dai rami penduli: evidentemente nel tempo la sua cima è stata tagliata per contenerne la crescita.

Il Cedrus libani, che non teme né freddo né siccità, è un campione di longevità: può vivere fino a 2.000 anni e arrivare fino a 40 metri di altezza. Raggiunge la maturità a circa 40 anni: possiamo capire che l’albero ha raggiunto gli “anta” dal fatto che inizia a produrre i suoi frutti, delle grosse pigne erette, con l’apice appiattito, da cui a fine estate originano i semi, simili a scaglie.

Avendo una forma policormica (con più fusti che si dipartono da un solo ceppo) il suo legno non è molto ricercato (viene oggi usato essenzialmente per gli strumenti musicali) ma sono vari gli impieghi in fitoterapia: le foglie e la corteccia, che contengono abbondante olio volatile, possono essere utilizzate a scopo balsamico e antisettico, il macerato glicemico viene invece usato per alcuni problemi della pelle.
L’olio essenziale è anche un buon repellente per gli insetti: versandone poche gocce su un materiale assorbente si può ottenere un utile sacchetto antitarme.

Uno dei principali nemici di questo gigante è un insetto minuscolo, l’afide (Cenara laportei) mentre uno dei suoi principali alleati è la coccinella, che di afidi si nutre: un altro buon motivo per amare questo piccolo coleottero a pallini!

(Gli alberi di Cernusco sono tanti e bellissimi: non perdere i prossimi numeri del #CernuscoTreeTour per conoscerli sempre meglio!).

Cedrus deodara (Himalaya)Cedrus libani (Libano)Cedrus atlantica (Atlante)
lunghezza aghipiù di 2.5 cmtra 0.8 e 2.5 cmtra 0.8 e 2.5 cm
Forma dei coni (pigne)appuntiti, tondeggiantiOvoidali, troncati, ma poco incavati all’apiceOvoidali, nettamente incavati all’apice
Orientamento dei ramigeneralmente orizzontaligeneralmente verso l’alto o decisamente ascendentigeneralmente verso l’alto o decisamente ascendenti
Direzione dei getti terminalipendulierettieretti
Densità della chiomarada/densadensarada
Forma della chiomapiramidaletabulare, spesso policormicapiramidale
Colore della chiomaverde cupoverde cupoverde glauco
Orientamento della cimainclinata (nido di cicogna)inclinata (nido di cicogna)eretta

#CernuscoTreeTour: 2 – Il Bagolaro (Celtis australis)

Uno ci fa compagnia mentre aspettiamo di entrare alle Poste di Via Pietro da Cernusco, altri ci accompagnano verso l’entrata del cimitero in Via Cavour, altri ancora ci fanno ombra mentre ci riposiamo nei giardini di Villa Greppi.
Tronco liscio e massiccio, chioma arrotondata e maestosa, alto mediamente fino a 25 metri, alcuni toccano anche i 30 metri, foglie ellittiche o lanceolate e seghettate ai margini, drupe (frutti) piccole e scure: di bagolari a Cernusco possiamo riconoscerne tantissimi.
I suoi nomi popolari ci raccontano molto di lui:

  • bagolaro” deriva da “bagola” che nei dialetti dell’Italia settentrionale significa “manico”: il suo legno, chiaro, molto resistente e facile da lavorare per la sua flessibilità, è da sempre usato per creare manici, bastoni da passeggio, mobili, attrezzi, carrozze, remi e altri manufatti sottoposti ad usura.
    Addirittura, per gli ingranaggi sommersi dei mulini ad acqua!
  • spaccasassi“, perché le sue radici sono talmente forti che riescono a sgretolare i sassi, facendosi largo nel terreno.
    Non ha problemi a crescere anche in terreni rocciosi o sui pendii e viene usato spesso per il consolidamento e il rimboschimento di terreni sassosi;
  • albero dei rosari“, perché i suoi semi un tempo venivano usati per i grani dei rosari (oltre che come munizioni per le cerbottane dei bambini!).

È rustico e resistente, ama gli spazi soleggiati e caldi ma è in grado di sopportare anche climi più rigidi, piogge e venti forti.
Per questo, per la sua capacità ombreggiante e ornamentale, per la sua funzione di barriera anti-inquinamento, per la sua resistenza ai parassiti e alle frequenti potature, è molto utilizzato nelle città.
Cresce molto lentamente ed è uno degli alberi più longevi: può vivere fino a 500 anni!

Ora i bagolari di Cernusco sono quasi a fine fioritura, ma forse non ve ne siete neanche accorti: per vedere le sue piccole infiorescenze giallo-verdi bisogna prestare un pò di attenzione!
Sono già visibili le piccole drupe, che maturano a fine estate: si tratta di piccoli frutti (sono drupe anche la ciliegia e la pesca) di circa 1 cm, con una buccia scura molto sottile e una polpa dal sapore dolciastro.
Eh sì, lo sapevate che sono commestibili?

Ne sono golosi gli uccelli, che in autunno si radunano per banchettare sui suoi rami, spargendo poi, con la digestione, i semi.
Noi umani ne ricaviamo invece confetture e liquori.
I regali che quest’albero ci fa non finiscono qui: i semi, se spremuti, danno un olio simile a quello delle mandorle dolci, mentre dalla corteccia e dalle radici viene estratto un colorante giallo per i tessuti di seta.
Infine, le foglie sono un ottimo foraggio.
Un’ultima curiosità: i suoi rami più alti ospitano spesso la Vanessa Antiopa (Nymphalis antiopa), un’elegante farfalla.

Hai suggerimenti o domande? Vuoi partecipare alle attività di Bene Comune Cernusco? Scrivici o commenta!

#CernuscoTreeTour: 1 – Il Salice

Passeggiando lungo il nostro Naviglio è impossibile non notare e riconoscere le chiome verde brillante di questo splendido albero, con i lunghi rami penduli che spesso intinge in acqua.

Arrivati dall’oriente (dalla Cina, percorrendo la Via della Seta), i salici a Cernusco sono numerosi: il Naviglio risponde infatti all’identikit del loro habitat ideale, vale a dire le zone umide vicine all’acqua, soleggiate o in mezz’ombra. Sopportano molto bene il freddo e non temono le gelate, d’inverno perdono le foglie e ricoprono la propria corteccia con una specie di cera che la rende impermeabile e protegge l’albero dalla disidratazione.

I salici sono una specie “dioica”: i fiori (detti “amenti”) maschili e femminili si trovano su esemplari diversi. In primavera è una delle prime piante a fiorire: di questo ringraziano le api che possono così disporre, alla ripresa del periodo produttivo, di un’importantissima fonte di sostentamento.

Oltre a questa funzione fondamentale e al loro valore decorativo, nei secoli i salici sono venuti in aiuto dell’umanità in vari modi: i loro rami lunghi e flessibili sono ideali per fabbricare ceste, sedie, canne da pesca o come legacci in agricoltura, i celti usavano il loro legno per costruire strumenti musicali, non si contano le poesie e le opere d’arte ispirate alla loro forma… Ma forse non tutti sanno che nella corteccia del salice si trova la salicina, molecola alla base dell’acido acetilsalicilico, il principio attivo dell’Aspirina! Fu un vicario inglese a scoprirla nel 1763, quando somministrò ai suoi pazienti della corteccia di salice essiccata, ottenendo significativi miglioramenti.

Il salice è uno degli alberi più facili da moltiplicare: le sue talee attecchiscono facilmente, aiutate eventualmente da un po’ di ormoni radicanti. Ma facciamo attenzione: bisogna evitare di piantarli vicino alle abitazioni, visto che con il tempo le loro radici sono in grado di danneggiare muri e tubature. Se disponiamo di un posto adatto a loro, ricordiamoci che necessitano di annaffiature costanti e regolari e che temono molto la siccità.

Restrizioni Covid permettendo, i salici vi aspettano lungo il Naviglio per farsi conoscere!

Hai suggerimenti o domande? Vuoi partecipare alle attività di Bene Comune Cernusco? Scrivici o commenta!

#Cheariatira: facciamo il punto

Figura 1 – PM2.5 del 9 Marzo 2021 (media oraria)

Dopo alcuni mesi di osservazioni delle misure raccolte dalle nostre centraline, cominciamo ad avere un’idea di quali fattori influenzino maggiormente il livello di inquinamento dell’atmosfera in cui siamo immersi.
Diciamo subito che ci siamo abituati ad un unico valore giornaliero come misura del livello di polveri sottili, quello comunicato da ARPA per ogni comune lombardo.
In realtà, quel numero non è altro che il valore medio, nelle 24 ore, di inquinamento per ciascun parametro osservato. Ma se misuriamo quel valore su di un intervallo temporale più piccolo, ad esempio un’ora o un quarto d’ora, potremmo vedere che l’andamento è molto variabile, in funzione di molti fattori che ne influenzano l’entità.
Nell’immagine qui sopra (Figura 1) – ad esempio – si vede la concentrazione di PM2.5 tra l’otto ed il nove marzo: ogni valore rappresenta la media dei valori nell’ora precedente (media mobile oraria). ARPA, invece, alla fine di ogni giornata, fornisce un unico valore numerico (Figura 2), cioè il valore medio di questo andamento altalenante, che però non è in grado di farci vedere la variabilità nelle varie ore del giorno.

Figura 2 – Le misure di PM2.5 comunicate da ARPA per i giorni indicati


La prima osservazione da fare, guardando le misure di questi mesi invernali, è che l’andamento giornaliero è più o meno sempre fatto in questo modo: c’è un massimo notturno, vicino o poco dopo la mezzanotte, una successiva discesa che dura circa 12 – 14 ore fino al pomeriggio, una risalita un po’ più veloce che dura 8 – 10 ore nel corso della sera per tornare al massimo notturno.

Qual è il motivo di queste variazioni? Non lo sappiamo, naturalmente, anche se pensiamo di poter escludere alcune ragioni e di poterne ipotizzarne altre.
Innanzi tutto, non sembra esserci grande correlazione con le variazioni di temperatura e umidità. In Figura 3 si vedono gli andamenti istantanei sincronizzati nel tempo di PM2.5, PM10 (in alto) e temperatura e umidità relativa (in basso).

Figura 3 – Misure di PM2.5, PM10, Temperatura e Umidità relativa per la stessa giornata (8-9 marzo)

Come si vede, non c’è contemporaneità nelle inversioni di tendenza, quindi pensiamo di poter escludere, almeno in prima istanza, l’influenza di temperatura e umidità sulle misure di PM fatte dallo strumento.
Di conseguenza, dobbiamo supporre che le variazioni mostrate sono effettive, pur dipendendo da vari fattori, e che le misure non vengono falsate da condizioni esterne quali umidità o temperatura ambiente. E quindi?

Come vedremo più in dettaglio tra poco, le misure di concentrazione delle polveri sottili dipendono molto dalle condizioni atmosferiche, o meglio, dal movimento dell’aria: più forte è la velocità del vento, più scendono gli inquinanti. L’ipotesi che ci sembra più ragionevole, quindi, è che, in assenza di vento significativo, i piccoli moti atmosferici attivati dalla radiazione solare diurna, comportano un ricambio d’aria soprattutto nei bassi strati, a contatto con il suolo, spingendo in alto l’aria “sporca” e portando verso il basso aria pulita. Al calar del sole ed al diminuire della mobilità dell’aria avvicinandosi la sera, viene meno questo ricambio e di conseguenza aumentano le concentrazioni di PM generate dall’attività antropica (soprattutto traffico e riscaldamento) che raggiunge quindi il suo massimo all’inizio della notte, per poi scendere lentamente nelle ore successive e più velocemente al riprendere dei piccoli moti ascensionali diurni appena descritti.
Questa è la nostra ipotesi più fondata, ma se ci fossero altre idee, saremmo lieti di prenderle in considerazione e confrontarci.
Come abbiamo accennato sopra, una seconda osservazione viene dalla presenza o meno del vento: come è facile intuire, più forte è il vento, più gli inquinanti vengono dispersi e quindi si abbassano. Giornate ventose o perturbate, sono generalmente giornate di aria pulita e appena ritorna la calma, l’inquinamento riprende a salire.
Un aspetto interessante, che siamo riusciti a cogliere con le nostre misure, è che a volte si verificano delle micro-irruzioni di aria pulita portata da correnti discensionali, che durano poco, ma riescono in pochi minuti ad azzerare gli inquinanti. Siamo riusciti a “catturarne” alcune, durante il mese di gennaio.
La più evidente si è verificata il 24 gennaio e di questa mostriamo qui le misure raccolte quel giorno (Figura 4).

Figura 4 – PM2.5, PM10, Temperatura e Umidità relativa del 24 gennaio 2021

Attorno alle ore 15, il livello degli inquinanti, che era appena superiore a 50 µg/m3, ha subito una repentina diminuzione, arrivando a zero per un paio d’ore, risalendo poi nel corso della sera ai valori precedenti. Ma cosa è successo?
Una possibile spiegazione può venire dall’osservazione delle variabili meteorologiche i cui valori sono stati misurati dalla centralina del Centro Meteo Lombardo di Vimodrone (la più vicina a noi, ma altre nella zona hanno riportato lo stesso andamento). In Figura 5, si vede come proprio attorno alle 15 ci sia stato un impulso di vento, passato da 0 a 12 km/h per pochissimi minuti, provenendo da nord e portando ad un abbassamento dell’umidita relativa da 90 a 20%.
Si è trattato quindi di un improvviso ricambio d’aria, della durata di qualche decina di minuti, che ha completamente ripulito gli strati bassi dell’atmosfera. Il tutto poi è tornato lentamente ai valori precedenti per tutti i parametri considerati.
Per il giorno 24 gennaio, ARPA ha comunicato un unico valore di PM10 = 19 µg/m3, che naturalmente non dice niente di quello che è successo in realtà in quella giornata.

Figura 5 – Misurazioni meteo a Vimodrone – 24 gennaio 2021

Da queste semplici considerazioni crediamo appaia evidente l’importanza di raccogliere informazioni ambientali puntuali, legate a territori circoscritti e con adeguata scala temporale, per monitorare i fenomeni locali e limitati nel tempo, anche attraverso reti di misura semplici ed economiche, purché affidabili.

Aggiungiamo in ultimo che nei giorni scorsi siamo stati contattati da alcuni cittadini, anche residenti in comuni diversi dal nostro, che ci chiedevano informazioni e istruzioni per posizionare dei nuovi sensori a basso costo nel loro territorio. Crediamo sia questo il risultato più importante della nostra campagna di misure: far capire l’importanza di una raccolta dati capillare e indipendente, per far crescere l’attenzione sui temi ambientali e per contribuire alla conoscenza ed alla diffusione di esperienze, ingredienti indispensabili per diventare cittadinanza attiva e matura, attenta all’ambiente ed ai beni comuni.

#varianteparzialePGT: soccorso istruttorio o accanimento terapeutico

Massimiliano Atelli, presidente della Commissione V.I.A.- V.A.S. del Ministero dell’Ambiente*, nella sua intervista al Sole24ore del 19 febbraio 2021 ha messo in evidenza come le lunghe procedure della VAS spesso siano legate alla cattiva qualità dei progetti: solo il 10% viene bocciato, mentre il resto è soggetto a prescrizioni e revisioni che ne allungano l’iter, in situazioni al limite dell’accanimento terapeutico

La situazione denunciata da Atelli non riguarda solo il Ministero dell’Ambiente: anche nella Valutazione di Impatto Ambientale relativa alla variante parziale del PGT di Cernusco di fatto le osservazioni accolte o parzialmente accolte da apportate al Rapporto Ambientale ed alla Relazione sono così numerose (60%) che le prescrizioni, correzioni, integrazioni rappresentano una sorta di vero e proprio “soccorso istruttorio” per il procedimento.

Infatti, come denunciano i movimenti nella Lettera aperta di 200 Associazioni a Governo, Parlamento e Commissione Europea su grandi opere e Valutazione di Impatto Ambientale “troppo spesso le osservazioni depositate dai cittadini, dagli enti locali e dalle associazioni sono surrettiziamente usate per rimediare – nella stragrande parte dei casi solo formalmente – a gravissime lacune documentali”.

Lo stesso iter procedurale della variante parziale del PGT di Cernusco dovrebbe far riflettere: avviato dall’amministrazione a metà luglio del 2019, poneva al 31 luglio la scadenza per la presentazione delle proposte, dunque meno di quindici giorni. A seguito delle proteste arrivate da associazioni e consiglieri la scadenza è stata rinviata al 30 settembre .

Ma che la scarsa attenzione alla partecipazione dei cittadini fosse la cifra di riconoscimento di questa proposta viene confermato in tutti i passaggi successivi.

Il 15 novembre 2019, un venerdì pomeriggio, viene messo a disposizione il documento di scoping e la prima seduta della conferenza di valutazione convocata il lunedì 18 novembre alle 14.00, dunque nemmeno tre giorni per poter valutare l’elaborato tecnico.

Si prosegue con la messa a disposizione della documentazione il 17.04.2020 e con la scadenza per le osservazioni richiesta al 15.06.2020: eravamo in pieno lockdown, in un periodo che prevedeva non solo l’impossibilità degli spostamenti, ma pure la sospensiva dei provvedimenti amministrativi. Ed è proprio per far rispettare le indicazioni di sospensiva del DPCM che abbiamo inviato un esposto alla procura della Repubblica e così il 25 maggio l’amministrazione è stata costretta a rinviare la scadenza al 17 luglio. Nello stesso tempo però fissava la seconda conferenza di valutazione al 20 luglio, i soliti tre giorni di valutazione.

Ma accade l’impresto, arriva una valanga di osservazioni ed i tre giorni si rivelano un boomerang, troppo pochi per valutarle tutte e così c’è un valzer di rinvii sino al 22 ottobre 2020 quando viene convocata la seconda conferenza di valutazione in una diretta facebook che dura undici minuti. In questo modo viene preclusa qualsiasi possibilità di approfondimento e dialettica fra tutti i soggetti interessati. In ogni caso emerge la necessità di una profonda revisione dei documenti di variante e dunque vengono fissati altri 90 giorni.

Arriviamo così alla fine di gennaio 2021 quando vengono pubblicati il parere motivato e le contro-osservazioni: si tratta di un parere positivo ma vincolato ad una serie così ampia di prescrizioni da costituire – come denunciava Atelli – un vero e proprio soccorso istruttorio per una variante piena di errori e carenze.

La ricostruzione dei passaggi dimostra che la partecipazione è un feticcio retorico e che l’unica dialettica possibile è stata quella garantita dalla legge. Dunque, meno male che esistono quelle poche norme che consentono ai cittadini di poter partecipare alla pianificazione della propria città. 

Vedremo fra pochi giorni quando i nuovi documenti arriveranno in consiglio comunale quale sarà stato l’esito della revisione.

* ora si chiama Ministero della Transizione Ecologica

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